Manifestazione di piazza a PIsa
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Di propaganda e di manganello

 

La risposta migliore che si potesse dare ai mestieranti del manganello facile e ai loro tutori politici – cambiano i primi, sempre uguali i secondi – con il loro tipico armamentario urlato e rabbioso in difesa della sacralità delle forze dell’ordine al servizio di dio e a protezione di patria e famiglia a prescindere dalle azioni messe in campo, un armamentario così estremo da scomodare l’ostico Pasolini difensore del proletariato in divisa costretto a fronteggiare i figli di papà intenti nel gioco della rivoluzione, è stata data dalla piazza dei Cavalieri di Pisa. Una piazza stracolma di persone indignate per i fatti accaduti, l’attacco a freddo su giovanissimi studenti con la colpa di difendere le ragioni della popolazione di Gaza massacrata dal diritto di vendetta della democrazia israeliana, la cui unicità tanto sbandierata sta più, stando alla macabra cronaca di questi giorni, nella ferocia dell’esercito che nella partecipazione popolare alle questioni di governo; una piazza simbolica trasformata dalla partecipazione popolare in campo dei miracoli, tanto per dare a Pisa quel che è di Pisa.

Una collettività che si è ritrovata, togliendosi di dosso per una volta quell’apatia e quel disinteresse che hanno finito con lo svuotare le piazze e far boicottare le urne, per fronteggiare con deciso rifiuto l’arroganza di un potere che in svariate occasioni ha dimostrato di non amare troppo il dissenso, la cui possibilità di libera espressione è, giusto per ricordarlo e ricordarselo, base e altezza della tanto sbandierata democrazia, la quale è a sua volta, altrettanto bene aggiungerlo, oggi minacciata nel suo pulsare europeo dal patriottico esempio di governo del compare – il termine amico risulterebbe troppo freddo come termine in termini di complicità e allineamento – Orban.

Il modello Orban – che ieri era il modello Putin, personaggio oggi poco spendibile – agito contro i più deboli, possibilmente stranieri, basato sulla propaganda di un sovranismo talmente autoreferenziale da sfociare nella negazione dell’altro diverso da sé, fatto di un potere più assoluto che democratico, che non disdegna le catene a mo’ di gogna contemporanea e che vive di nostalgiche e discutibili commemorazioni, si dispiega con carsica proprietà anche nell’Italia della destra che ha fatto un sol boccone di un centro (destra) orfano del suo patriarca.

Quale il nesso tra le catene che imprigionano il corpo di Ilaria Salis, accusata di intolleranza verso gli intolleranti, e i manganelli che si sono accaniti su inermi minorenni colpevoli di manifestare contrarietà verso il genocidio, parola discussa e discutibile difesa con forza dagli studenti, che Israele sta portando avanti nella striscia di Gaza ormai ridotta a unica spianata con un infinito campo profughi? La complicità valoriale (dio patria famiglia) e la coincidenza degli intenti (l’Europa degli stati, che altro non è che una negazione in termini della stessa idea di Europa) in primo luogo; la passione verso un’autocrazia personalistica (il culto del capo) mascherata da democrazia diretta (il premierato) in secondo luogo; e il ricorso a una propaganda “armata” in grado di parlare con unica voce e di ribaltare ogni responsabilità grazie all’occupazione sistematica dei centri di potere e dei canali di informazione in terza istanza.

A questo allineamento astrale dei sovranisti, favorito dallo scriteriato allargamento a est dell’Europa per mere ragioni di “militarismo difensivo” targato Nato senza stare troppo a guardare i requisiti base richiesti per entrare nella comunità europea, bisogna contrapporre un modello altro di governo e un’idea altra di federazione, dato che oggi l’Europa è sempre meno comunitaria e pacifica e sempre più armata e nazionalista e visto che i sovranisti europei sono passati da posizioni di opposizione urlata a quelle di governo miracoloso, a giudizio ovviamente della propaganda senza sosta e dell’auto/celebrazionismo che ne consegue. Bisogna farlo nelle piazze che rivendicano per e che protestano contro, nella difesa dei beni comuni, nelle organizzazioni di base, formali e non, e nelle forme politiche strutturate, nelle urne e al di fuori delle stesse, nella vita quotidiana e nei luoghi di lavoro, nella strenua tutela di chi non ce la fa attraverso la redistribuzione mutuale dell’accumulo, nel diritto al reddito e nell’equità del salario, nell’universalità di salute e istruzione e nello spazio pubblico aperto, nell’accoglienza come principio e nell’abbattimento progressivo dei confini (fisici e mentali) come pratica. La loro idea di governo sempre più autocratico in nome della governabilità e sempre più discriminatorio e classista per conto dell’ideologia nostalgica di ieri adornata dagli strumenti ipertecnologici e distopici dell’oggi, va combattuta radicalmente contrapponendole, o meglio rivendicando, un agire politico organizzato e molteplice, un rizoma di superficie, che si ritrovi intorno alla triade: umanità (restiamo umani), mondo intero (nostra “patria”), società (andare oltre la famiglia). Nei territori, nel Paese, nello spazio europeo e perché no nel sistema mondo.

L’arroganza del potere è nota, la strafottenza dei sovranisti al potere è sotto gli occhi di tutti, abituarsi al tambureggiare della propaganda e al roteare sacro del manganello senza opporre resistenza e creare alternativa è proprio l’ultima cosa da fare o meglio la prima cosa da non fare. Ce lo ricordano i pestaggi di Pisa, ce lo gridano i ceppi di Budapest, ce lo suggeriscono diffusamente i falsetti patetici di derisione, gli attacchi televisivi senza possibilità di difesa, il sistematico rovesciamento di meriti e responsabilità messi artatamente in campo dalla presidente del Consiglio e dai suoi fedeli adepti in ogni dove e in ogni momento.

Neanche il presidente della Repubblica è stato risparmiato, con formula vaga e certo rimando, dall’accusa di essere pericoloso in quanto Istituzione critica verso la polizia salvo poi, secondo la sacra regola del tirare sasso nascondere mano, correggere il tiro sparando ad alzo zero sulla solita sinistra livorosa e impotente capace solo di strumentalizzare ogni notizia per avere quella risonanza che non è in grado di ritagliarsi autonomamente. Una ritirata precipitosa contornata dall’immancabile ricorso alla teoria del complotto, non più giudaico non più massonico ma semplicemente P(lutarchico) D(emocratico), e dall’ancor più retorico richiamo dell’elmetto decisamente stridente in tempi di guerra permanente. Per la serie miriamo in alto e spariamo in basso che conviene.

La propaganda d’altronde o è tambureggiante e metodica o non è, la loro scuola è sempre quella, reiterare il falso all’infinito finché non venga percepito come vero, solo allora la propaganda si farà informazione e l’autocrazia democrazia. Il manganello in fin dei conti è dissuasore primario che precede e preannuncia altri mezzi ben peggiori, nel raggiungimento di un fine che finisce, con sterilizzazione esponenziale e asfissia progressiva, per coincidere con il mezzo. Loro fanno il loro, a noi non resta che fare il nostro se son si vuole vivere e morire della loro propaganda e del loro manganello.

Un commento su “Di propaganda e di manganello

  1. Al di là delle differenze, questi tre elementi costituiscono la base del regime Orban in Ungheria e della deriva autocratica in cui sta precipitando l’Italia sotto il governo della Lega e del Movimento 5 Stelle. Ma la risposta migliore non è stata data da chi detiene il potere, bensì da una piazza di cittadini indignati, capaci di unirsi e farsi sentire in difesa dei valori della democrazia e della giustizia sociale.

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