Un mazzo di carte in mano a un illusionista
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Le armi di distrazione del potere

 

Uno dei cardini di qualsiasi potere è il principio di autoconservazione, che viene perseguito attraverso diverse leve, tra le quali c’è il racconto delle cose attraverso le proprie fonti. Che quel racconto sia solo un punto di vista, è un concetto piuttosto intuitivo da cogliere. Però il potere dispone di una rendita di posizione e di una forza che rendono quel punto di vista privilegiato rispetto ad altri. Ciò avviene per una serie di concause. In primo luogo, a chi incarna il potere si tende ad attribuire un prestigio che deriva dalla stessa posizione rivestita, sia che questa venga riconosciuta per diritto divino, sia che derivi dalla vittoria in una contesa elettorale, sia che scaturisca da un qualche carisma che il/la potente di turno è in grado di esercitare, sia che consegua da una semplice nomina di un potere più alto. Il potere inoltre, può tentare di dissuadere eventuali opposizioni anche solo con la semplice minaccia di ritorsioni che possono essere di vario grado: dal dileggio a fini di isolamento all’uso della forza, implicita o esplicita. Oppure, può utilizzare rinforzi positivi, cioè premiare in qualche modo chi non si oppone. Sono questi i principali motivi per cui tantissimi scienziati della politica nel corso degli ultimi quattro-cinque secoli si sono misurati con la questione della limitazione e del controllo del potere.

La circolazione delle idee e le libertà ad essa legate sono tra gli antidoti più formidabili al potere – qualsiasi potere – che per sua stessa natura, perseguendo il fine di autoconservarsi, tende alla prevaricazione. Il punto è che alle nostre latitudini, per quel vezzo tutto occidentale di sentirci un po’ i tutori della storia, ci attribuiamo il raggiungimento di un livello di evoluzione che ci avrebbe reso immuni dagli abusi del potere, che presumiamo essere diventato buono. In parte succede perché tendiamo a considerare abusi e prevaricazioni solo le enormità di regimi dittatoriali o autocratici, e quanto più enormi essi sono, tanto più cresce la nostra autostima. E in parte perché siamo così dentro al sistema che spesso non ne scorgiamo i limiti, poiché l’immagine che abbiamo di quel sistema è frutto del racconto del potere stesso.

L’immagine di ciò che accade è ciò che accade. E se l’immagine di ciò che accade promana quasi esclusivamente dal racconto del potere, è il potere a disegnare la sua realtà. Col fine dell’autoconservazione. Principio che può essere perseguito anche a scapito dell’interesse di larghe fasce di cittadinanza. Quindi, acquisito che non siamo sotto la minaccia del cappio imposta dal regime iraniano, né in Corea del Nord, e neanche nella Russia di Putin dovremmo però imparare a fare i conti coi nostri limiti. E ce ne sono. Anche qui, anche in Umbria.

L’immagine di ciò che accade ha a che fare con i mezzi di informazione, di cui abbiamo raccontato la parabola discendente in questa regione in un articolo a cui rimandiamo chi volesse approfondire la cosa. Si tratta di una questione che travalica la crisi verticale del settore e ha direttamente a che fare con la qualità della democrazia. Se il potere, che già di suo ha leve formidabili in mano, non incontra sulla sua strada alcun controcanto alla sua narrazione, quel potere può puntare all’eternità. Non è una questione di colore politico – si badi – ma di essenza del potere. E ha a che fare con gli orizzonti che si dà una comunità. Ci sono alcuni esempi che possono essere utili a capire. Uno, clamoroso, lo ripeschiamo dalle cronache di diversi anni fa. Altri due sono di queste settimane. Sono diversi gli uni dagli altri, ma sono accomunati dal fatto che in tutti e tre i casi il potere confeziona la sua verità, che anche grazie al racconto mediatico diventa la verità tout court. Però in tutti e tre i casi il potere usa le sue armi di distrazione dalla realtà, consapevolmente o meno che lo faccia.

«Il caso è chiuso»

Il 6 novembre 2007 Amanda Knox, Raffaele Sollecito e Patrick Lumumba vengono fermati dalla polizia di Perugia con l’accusa di essere gli omicidi di Meredith Kercher, studentessa inglese uccisa in casa sua la notte tra l’1 e il 2 novembre. Di lì a poco l’allora questore, Arturo De Felice, convoca una conferenza stampa nel corso della quale dichiara che l’inchiesta è chiusa. Si complimenteranno con lui il sindaco e la presidente di Regione, il rettore, la console britannica a Firenze e pure il ministro dell’Interno. Il giorno successivo diversi articoli di quotidiani daranno per scontata la ricostruzione del potere di turno, e in particolare la colpevolezza di Lumumba, indicato come l’autore materiale dell’omicidio. Si indugerà nelle dichiarazioni che lo stesso Lumumba aveva fatto qualche giorno prima nelle quali raccontava di non aver mai conosciuto la vittima, come a volerne indicare la spietata capacità di mentire; si scriverà anche che «Patrick aveva avvertito che l’aria stava diventando pesante per lui». Lumumba insomma è un omicida a tutti gli effetti, se non fosse che cinque giorni dopo il suo arresto un avventore del pub di sua proprietà ne confermerà l’alibi sostenendo di averlo visto al lavoro la sera del delitto. Ce ne vorranno altri nove, di giorni, prima che venga rimesso in libertà. Per i quattordici giorni di carcere ingiustificato, Lumumba riceverà nel 2009 ottomila euro di risarcimento. Arturo De Felice invece, nel 2012 diventerà capo della Direzione investigativa antimafia.

«Turismo da record»

Il 27 dicembre 2022 l’Agenzia Umbria ricerche (Aur), ente della Regione, pubblica un report sul turismo in cui viene preso in esame il periodo luglio-ottobre 2022. Si tratta di quattro mesi che vengono confrontati con gli stessi degli otto anni precedenti. Se ne evince che «ciascun mese ha fatto registrare il record assoluto delle presenze rispetto ai corrispondenti mesi dei sei anni precedenti». Il giorno successivo i quotidiani escono con articoli nei cui titoli compaiono le parole «record» e «numeri mai visti». Il racconto che origina da un ente della Regione, indurrebbe quindi a concludere che il turismo sia un settore trainante per l’Umbria e che le politiche adottate siano le migliori possibili. Ora, l’emergenza covid si è chiusa il 31 marzo 2022 e, nonostante ciò, i mesi di aprile, maggio e giugno non sono stati presi in considerazione dallo studio dell’Aur. Se lo fossero stati, il 2022 non avrebbe potuto essere considerato «da record», dal momento che nel trimestre trascurato i dati sono peggiori rispetto a gran parte degli otto anni precedenti. Ma non è tanto questo il punto. Il fatto è che il racconto scaturito dalla pubblicazione del report trascura altre criticità. La prima è che l’incidenza del Pil prodotto dal settore del turismo in Umbria è, secondo uno studio dell’Aur del 2013, di poco superiore al 2 per cento. A livello nazionale invece, la Banca d’Italia stima il peso del turismo al 5 per cento del Pil. La seconda criticità, che è causa della prima, è data dal fatto che l’Umbria attrae mediamente meno turisti stranieri, che sono quelli che soggiornano più a lungo, e quindi spendono di più. A fronte di un’incidenza degli stranieri di circa il 50 per cento a livello nazionale, in Umbria le presenze dall’estero si riducono a meno del 40 per cento. Ciò ha fatto sì che la permanenza media, che nel 2019 è stata mediamente in Italia di 3,3 giorni, si riducesse in Umbria a 2,4. E ciò vale anche per il presunto record dei quattro mesi del 2022: mentre in Umbria in quel periodo la permanenza media dei turisti è stata di tre giorni, in Italia è stata di oltre quattro. Va da sé che se si ritiene che l’Umbria sfonda record, i riflettori sulle criticità si spengono e il settore non fa un passo in avanti. Qui, a differenza del caso di Lumumba, siamo in presenza di una verità, poiché i dati dell’Aur sono reali. Però l’uso che se ne fa è parziale, e il racconto che ne consegue sui media piuttosto autoconsolatorio e, in definitiva, controproducente per la comunità regionale ancorché funzionale alla conservazione del potere.

I titoli relativi alla notizia del report sul turismo

Il Nodo di Perugia

Lo scorso 10 gennaio Cronache umbre ha pubblicato un articolo molto circostanziato sulla sostanziale stasi dell’iter che dovrebbe portare alla realizzazione del Nodo di Perugia, un’opera che non rientra nelle priorità di una stagione che punta, a livello europeo, alla riconversione ambientale più che alla realizzazione di nuove strade, e per la quale la legge di bilancio non prevede i finanziamenti che erano stati assicurati nei mesi precedenti da numerosi rappresentanti politici di questa regione. Bene: nello stesso giorno l’assessore regionale alle Infrastrutture ha diramato una nota in cui assicura il «costante monitoraggio sulle procedure in atto» per l’opera. Il giorno successivo i titoli dei giornali erano tutti sulla «vigilanza» della Regione, la quale pare che punti a mostrare un attivismo per un’opera che probabilmente non si farà. Ciò è accaduto nonostante la notizia, nel senso etimologico di novità, sia la sostanziale bocciatura – cioè la negazione dei finanziamenti in legge di bilancio – da parte del governo nazionale per un’opera ritenuta non prioritaria sulla quale però la maggioranza umbra (e anche parte dell’opposizione) si è molto spesa.

I titoli relativi al comunicato stampa sul Nodo dell’assessorato regionale alle Infrastrutture

Come nel precedente caso del racconto a senso unico delle magnifiche e progressive sorti del turismo, sollevare la questione non è una polemica fine a se stessa. Lì si trattava di mettere a fuoco le criticità di un settore per tentare di farlo crescere, più che soffermarsi su presunti record effimeri che irrorano di luce la Regione ma contribuiscono a lasciare le cose come stanno, cioè non bene. Qui la questione è se continuare a indugiare su un’opera di fatto anacronistica e considerata non prioritaria o invece volgere lo sguardo a soluzioni più efficaci e attuali e meno dispendiose. Ma anche qui ci sono in ballo l’autoconservazione del potere, la sua forza di imporre il suo racconto e le debolezze di altri. Cioè, in sostanza, la democrazia.

Foto da freepik.com

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