Un carrello della spesa abbandonato in montagna
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Dobbiamo dire basta ai centri commerciali

 

A pochi giorni dall’inaugurazione dell’ennesimo centro commerciale a Terni, quello costruito in viale dello Stadio, su area pubblica, con una procedura che ha invocato la pubblica utilità per una variante urbanistica che posiziona lì servizi commerciali privati – scelta, sia chiaro, legittima normativamente, ma a mio avviso sbagliata sotto il profilo politico – mi pare utile sollecitare una riflessione su dove sta andando lo sviluppo della città e sul governo del territorio a Terni.

I centri commerciali e le medie superfici di vendita sono cresciuti in modo esponenziale negli ultimi anni con effetti assai dubbi sotto il profilo della convenienza e quindi della tutela del potere d’acquisto. I prezzi al dettaglio a Terni nel settore dei generi alimentari dal 2016 al 2021 – quindi prima della crisi inflazionistica in corso – sono cresciuti sopra la media nazionale. La tesi che la concorrenza spinta all’estremo costituisca un vantaggio per i consumatori non trova quindi conferma. Sotto il profilo occupazionale, a fronte di nuove aperture di superfici della grande distribuzione ve ne sono altre che chiudono; c’è la desertificazione delle piccole superfici (il centro storico, sotto questo profilo, è ridotto in condizioni penose); peggiorano pesantemente le condizioni di lavoro di coloro che operano nel settore; la catena della fornitura è sottoposta a uno stress insostenibile ed è a sua volta causa di peggioramento delle condizioni contrattuali e di lavoro dei fornitori e sub fornitori delle insegne.

Sotto il profilo urbanistico il danno non è minore. Se nel caso di viale dello Stadio, se non altro, stiamo parlando di un’area già urbanizzata, e quindi non vi è ulteriore consumo di suolo, in molti casi aree non urbanizzate vengono cementificate con più di una conseguenza negativa. Un’area precedentemente non impermeabilizzata che venga cementificata comporta necessariamente forme diverse di regimentazione delle acque di scarico e piovane che si incanalano sulle reti esistenti (poi ci lamentiamo quando l’acqua piovana tracima dai tombini e rende pericolosa la circolazione veicolare) ed incide sull’innalzamento della temperatura media. Inoltre, per legge, una quota parte delle opere di urbanizzazione realizzate a servizio dei centri commerciali vanno in carico alle amministrazioni comunali, che ovviamente non hanno i soldi per gestire e manutenere parcheggi, fognature, aree verdi e impianti di pubblica illuminazione che si aggiungono agli esistenti. Vi sono proposte all’esame dell’Amministrazione, come il nuovo centro commerciale del Globo sulla Marattana, che si mangia un’area verde, o greenfield, per usare un moderno termine degli immobiliaristi, con un grande blocco prefabbricato che conterrà i punti vendita e uno sconfinato parcheggio in superficie. La normativa urbanistica infatti prevede per le grandi strutture di vendita degli standard per il verde e soprattutto per i posti auto molto impegnativi, che comportano un grande spreco di suolo, a meno che non si realizzino parcheggi interrati. Ma i parcheggi interrati sono visti dalle insegne come il fumo negli occhi, costando un sacco di soldi, prima in termini di investimento, e poi di gestione. A meno che le amministrazioni comunali non chiudano un occhio applicando standard meno rigidi. Tanto per fare un esempio, se gli insediamenti commerciali in viale dello Stadio fossero stati considerati come medie superfici e non come centro commerciale, la quantità di parcheggi da realizzare sarebbe stata inferiore, ma il calcolo sarebbe stato normativamente non conforme.

In generale, in assenza di significative alternative di offerta di mobilità, queste strutture peggiorano la circolazione veicolare, effetto ampiamente prevedibile nel caso di viale dello Stadio, arteria fondamentale nella viabilità urbana, già ampiamente intasata. Inoltre, poiché il progetto della Ternana Calcio prevede il raddoppio della superficie commerciale che si inaugura tra qualche giorno, stiamo andando, a mio avviso, verso una direzione completamente sbagliata.

Tutto questo mentre il costruito esistente deperisce a vista d’occhio. Per non tornare sul degrado del centro storico già citato, si può fare un giro nelle aree industriali di Sabbioni-Maratta: capannoni dismessi e abbandonati di tutti i tipi, aree pertinenziali lasciate in balìa del nulla. Perché le insegne della grande distribuzione non vanno lì? Le reti ci sarebbero già (viabilità, fognature, cavi del gas, dell’energia elettrica, reti telefoniche e dati) e il giovamento per la collettività sarebbe evidente. Non ci vanno, oltre che perché le ricerche di mercato lo sconsigliano vivamente (ma le ricerche di mercato prendono in considerazione solo i benefici privati) perché demolire fabbricati esistenti, per non dire ristrutturarli, costa di più che costruire ex novo su un greenfield. L’esito finale è che a Terni il consumo di suolo è cresciuto, come ci dice l’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale): dal 2006 al 2021 il territorio del comune cementificato è passato dall’11,8 al 12,6 per cento, un incremento doppio rispetto alla media nazionale, che in termini assoluti ha significato 172 ettari in più. Per capirci, è come se fossero stati costruiti 246 campi di calcio come il Liberati (ma è una immagine troppo bucolica perché non di campi verdi si tratta, ma di cemento e asfalto). O, altrimenti, come se in soli 15 anni la città si fosse estesa di un decimo. I costi di questo sviluppo (?) territoriale si scaricano tutti sulla collettività. Per questo bisogna cambiare strada: basta con il consumo di suolo, basta con i centri commerciali.

Foto dal profilo Flickr di Jim Choate

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