Nella Dubai vaticinata dal sindaco di Terni, che fa del prodigio peculiarità e dello sproloquio ostentato il proprio marchio di fabbrica, il curato privatizzato delle rotonde, il moltiplicarsi di fioriere a corredo dei pali della luce e lo sradicamento di panchine divenute bivacco di indigenza avrebbero dovuto rappresentare plasticamente il nuovo corso politico fatto di decoro ostentato e ordine costituito.
Nulla di nuovo sul fronte occidentale verrebbe da dire, la solita trincea d’attacco scavata nel cuore del diritto a colpi di semplicismo comprensibile in cui la demagogia della tolleranza zero si intreccia a doppio filo con l’ideologia plastica dell’estetica che si propone di significare. Un tappeto mortale con il compito di soffocare, coprendola, la polvere di un’umanità costretta a costruirsi la vita a colpi di espedienti, un impianto scenico che fa dell’abbaglio artificiale della luce punto di forza nel rimando improvvisato dell’illusorio. I consueti roboanti annunci con cui la destra ha assaltato il potere pluriennale dei comuni e di una regione storicamente rossa; annunci rimasti tali, a giudicare dai ricorrenti episodi di violenza e prevaricazione che hanno continuato ieri e continuano oggi a riempire la cronaca locale. Un perenne allarme da prima pagina che il progressivo inasprirsi di pene unito al moltiplicarsi dei reati non ha minimamente contenuto. Una tolleranza zero così inefficace da dover richiamare ulteriore tolleranza zero ogni qualvolta l’evidente scollamento sociale si è palesato attraverso atti di devianza. Un tautologico, opprimente, ridondante ed esponenziale tiro al piccione in cui la manifesta inefficacia delle misure urlate si è tradotta paradossalmente in un ulteriore innalzamento dei toni e in un inasprimento degli interventi meramente repressivi.
Insomma: più Bronx che Dubai, più sagra dell’impotenza populista che festival dell’efficienza governativa. Un cavallo di battaglia della destra quello del decoro, dell’ordine e della disciplina che non ha risparmiato, anzi che ha attanagliato anche le traballanti giunte di centro-sinistra, che si sono ritrovate a scimmiottare, magari edulcorandolo goffamente, il credo dell’intransigenza e della fermezza. Ma così come la vita eccede sempre la norma e la costituzione materiale disfida la costituzione formale di ciascun aggregato sociale, ogni territorio, inteso come insieme di ambiente e socialità, va oltre qualsivoglia governo, che gestendolo troppo spesso pretende di esautorarlo.
Un territorio quello ternano contraddittorio e sfuggente, rancoroso e solidale, conflittuale e acquiescente, in cui la figura del contadino divenuto operaio, che ha dominato l’intero novecento, crisi dopo crisi e padrone dopo padrone ha finito con l’introiettare i richiami suadenti di una contemporaneità in cui l’individuo ha preso il posto di un soggetto dimentico del suo essere classe. Uno scivolare continuo verso un mondo fatto di gravitazione sociale in cui non è più l’unione a fare la forza, ma è il realismo spicciolo a dettare tempi e ritmi, secondo la basica legge non scritta del non si abbaia verso il più forte, ma si mozzica il più debole. Una legge elementare in grado di far detonare alle fondamenta una qualsiasi parvenza di politica di sinistra, una legge che riesce a governare sovrana grazie alla messa a disposizione di un debole più debole su cui potersi accanire da parte di un forte che si vuole sempre più forte.
Punto fermo di resistenza e di popolarità, di solidarietà e di mutualità, di contro-cultura e di contro-potere, di discussione e di ascolto, di sindacalismo di base e di cultura del non lavoro, di teatro e di vita di tutti i giorni, di ambientalismo e di rifiuto della guerra, di associazionismo e di informalità, di critica e di controproposta, di antagonismo e di antifascismo è rimasto nel tempo il centro sociale oggi Germinal Cimarelli, ieri Icaro, un luogo attraversato da diversità e che attraverso le diversità ha sempre costituito una fisicità altra sufficientemente invisa ai mestieranti del potere cittadino e non. Uno spazio aperto in cui: i bisogni umani sono sempre venuti prima delle necessità sistemiche; la soddisfazione dei bisogni vitali è stata ed è priorità; il diverso è stato ed è considerato ricchezza e non pericolo incombente; le soggettività hanno trovato e trovano la loro identità nel fare collettivo; la popolarità, intesa come legame invisibile che genera vita sociale, è stata ed è presupposto e postfazione di ogni agire. Un terreno franco, in cui lo straniero diventa conosciuto e il conosciuto si sente quasi straniero, con la funzione di non isolare Terni dal contesto del mondo e di non isolare i mille contesti del mondo presenti a Terni e di dar voce e corpo al contempo ai tanti momenti di vita cittadina nascosta per inserirli nella cornice molteplice del comune. Uno spazio polivalente reso possibile dall’impegno delle molte e dei molti che nel corso degli anni hanno speso tempo ed energia nella costruzione fisica dello spazio stesso e che una volta costruito lo hanno abitato con le forme variegate della musica, della recita, del dibattito, del teatro, della vita e della politica, con un passaggio trasversale di testimone in grado di tagliare anagrafe e interessi, impegno e (ri)creatività. Insomma, un posto liberato e libero non semplicemente perché lì si può “fare ciò che si vuole”, ma perché lì si agisce per liberare e liberarsi.
Venerdì 16 maggio alle ore 21 proprio presso il centro sociale di via del Lanificio verrà messo in scena da parte di un gruppo di ragazze cresciute teatralmente all’interno dei corsi tenuti negli anni sul palco del Cimarelli lo spettacolo da loro scritto, sceneggiato e interpretato: Le Acacie del Ténéré. Un albero solitario nel pieno deserto del Ténéré, utilizzato come punto di riferimento dalle carovane di cammellieri circondate altrimenti da un mare di sabbia che rende tutto indistinto. Uno sguardo femminile sul mondo che racconta l’alterità estraniante e resistente attraverso la partigianeria di genere, intesa come narrazione di parte, con la complicità, che va oltre ogni messa in scena, a fare da carburante nell’ostinata rivendicazione di una resistenza umana che al pari delle Acacie del Tenerè si considera mancante di tutto e non bisognosa di niente. Un po’ il negativo fotografico del voler tutto e subito, che in fin dei conti rimane l’opzione più concreta e affascinante rimasta alle troppe deboli e ai troppi deboli per rovesciare questo mondo costruito a immagine e somiglianza dei forti.
Dubai è una mera illusione, il Cimarelli una profetica realtà in grado di rappresentare il non detto e di pretendere il non fatto non demandandolo alla speranza del domani, ma reclamandolo nell’urgenza dell’oggi. Immaginiamo, con la concretezza che non ci appartiene, che il punto di partenza per la costruzione dell’alternativa non possa che essere l’uscita dalla condizione di isolamento, che loro malgrado o per propria ostinata scelta, le Acacie del Ténérè vivono nell’aridità della terra. O forse no, ma siamo certi che venerdì sera tutto ci sarà più chiaro o tutto ci risulterà più confuso, i posti liberati e liberi d’altronde contengono sempre più domande complesse che risposte semplici.
A proposito delle acacie del Ténéré https://it.wikipedia.org/wiki/Albero_del_T%C3%A9n%C3%A9r%C3%A9