Navalny
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La questione di Naval’nyj e delle destre

 

Premesso che la frase attribuita a Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu possa dirlo» è un principio universalmente riconosciuto in tutti i paesi democratici, o almeno così dovrebbe essere, mi permetto sommessamente di criticare tutti coloro che hanno trasformato la morte di Aleksej Naval’nyj, un fatto da condannare senza se senza ma, in un’occasione per celebrare questo personaggio come esempio di libertà e democrazia. Non è così. Basta guardare la sua biografia: nel 2006 il comune di Mosca vietò il corteo annuale noto come “marcia russa”al quale parteciparono organizzazioni di matrice neonazista e xenofoba, Naval’nyj chiese come dirigente di Jabloko che la manifestazione venisse autorizzata nel rispetto del diritto costituzionale a riunirsi pacificamente, riaffermando al contempo l’opposizione del partito all’odio nazionalista o razziale e alla xenofobia. Indicato come uno degli organizzatori della marcia, smentisce. Continuerà comunque a frequentare ogni anno le marce, fino al novembre 2011, anno in cui figura anche tra gli organizzatori. Nel 2007 fonda un movimento politico chiamato Narod (Popolo), che aveva come priorità la tematica dell’immigrazione. Il movimento venne criticato per le sue posizioni xenofobe, testimoniate anche in un video dell’organizzazione in cui lo stesso Naval’nyj paragonava i militanti jihadisti del Caucaso, scuri di pelle, a degli scarafaggi, asserendo che mentre gli scarafaggi possono essere uccisi con una paletta, per gli esseri umani consigliava di usare le pistole. In un altro video, Naval’nyj sembra sostenere l’idea di una pulizia etnica nonviolenta tramite la deportazione. Vestito da dentista, mentre scorrono degli spezzoni di video di lavoratori immigrati, dice allo schermo: «Nessuno dovrebbe essere picchiato. Tutto ciò che ci infastidisce dovrebbe essere accuratamente, ma inflessibilmente eliminato mediante la deportazione». Entrato in rotta di collisione con i dirigenti di Jabloko, viene espulso dal partito con l’accusa di aver danneggiato l’organizzazione con le sue attività nazionalistiche. Engelina Tareva, che ha militato insieme a lui nel partito Jabloko, lo considera un nazionalista e lo accusa di fare abitualmente uso di insulti razzisti. Queste sono solo alcune “perle” della biografia di questo eroe della libertà. Bisognerebbe tutti darsi una calmata e ritornare al buon senso.

Ora cerchiamo di capire come sia possibile che gli italiani possano votare così superficialmente gli eredi del fascismo. Marco Marsilio, governatore appena eletto dell’Abruzzo è uno dei tanti nostalgici, fedelissimo della Meloni. La cosa viene da lontano e scontiamo secondo me gli errori gravi del passato, dall’amnistia che voluta da Togliatti che, da ministro dell’Interno, tentò il superamento delle divisioni e dei rancori attraverso un condono delle pene che portasse a una pacificazione tra le parti. Sistema che non funzionò molto bene. «La conseguenza di quella amnistia fu infatti – descrive molto bene Mauro Mercatanti nel libro “La strage di Bologna” nella serie “Storia dei grandi segreti d’Italia” – di non affrontare i nodi politici che la fine della guerra aveva creato, cosa che avrebbe permesso forse di disinnescare davvero i sordi rancori che aveva prodotto. Fu come mettere il coperchio sopra una grande pentola a pressione e poi dimenticarsela con il fuoco acceso. Se da una parte infatti molto personale ex fascista non venne epurato dalle forze dell’ordine perché in fondo era formato, addestrato ed era quindi ancora utile, dall’altra le ambiguità della fragile costruzione democratica non impedirono a molti fascisti di vagheggiare la rivincita. O la vendetta». La stagione della strategia della tensione con le due maggiori stragi di Piazza Fontana e di Bologna, non hanno altra spiegazione. Tutte le inchieste portano alle galassie nere, anche se per Piazza Fontana grazie ai tanti depistaggi non si è arrivati mai ad un colpevole. Gli scontri di piazza erano divenuti una realtà pressoché quotidiana: manifestanti da un lato e polizia dall’altro. Una polizia che è bene ricordare, non aveva mai subito epurazioni e che era guidata ancora in parte, da uomini che erano appartenuti al passato regime fascista, come colui che era il questore di Milano al tempo di Piazza Fontana, Marcello Guida, a cui l’allora presidente della Camera, Sandro Pertini, rifiutò di stringere la mano. Pertini ben ricordava la carriera di Guida nei “bagni” penali dei campi di concentramento in cui venivano rinchiusi i detenuti politici, durante il periodo fascista: egli stesso era stato recluso in quello di Ventotene, di cui Guida era responsabile. «La polizia italiana era piuttosto nota ai tempi per i suoi metodi violenti, lo era al punto che il dittatore spagnolo Francisco Franco aveva inviato in Italia alcuni funzionari della sua polizia, affinché apprendessero le più moderne di repressione». Così racconta Matteo Albanese nel libro “Piazza Fontana” sempre all’interno della “Storia dei grandi segreti d’Italia”. La domanda è questa: se invece di puntare solo sulla Costituzione come pietra fondante dell’antifascismo, avessimo creato le condizioni affinché gli ex fascisti non avessero avuto più in Italia diritto di cittadinanza, si sarebbe potuto fondare il Movimento sociale, con tutto ciò che ne è conseguito in termini di adunanze sempre più numerose con i saluti fascist e di personaggi politici importanti che ostentano la nostalgia per il duce? In Germania c’è stata molta più severità con il nazismo. Oggi avremmo avuto un governo a guida Meloni? Non si risponda: l’hanno votata gli italiani. Anche Mussolini fu votato, e anche Barabba al posto di Gesù Cristo. È tutto più complesso di quanto appare.

Foto da wikimedia commons

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