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I semi buoni del Borgobello

 

«Quando si è aperto il bando del Comune, questo era il posto che avevamo opzionato, e per fortuna siamo riusciti a ottenerlo: collaboriamo da tempo sia con l’associazione di quartiere che con la scuola, e quindi ci è sembrato naturale stabilire qui la nostra sede». Paolo Festi, presidente della sezione perugina di Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), è il rappresentante dell’ultima realtà sociale che ha scelto di accasarsi lungo questo rettilineo che una volta scese le scale di Sant’Ercolano guarda dritto a sud, fino ad arrivare alla porta di San Costanzo da cui ci si immette nella via che si chiama Romana, poiché era quella che si percorreva per andare da Perugia verso la capitale. È all’ombra di porta San Pietro che si è stabilita Fiab, nei locali di proprietà del Comune che erano prima occupati dall’associazione Borgobello, spostatasi a fianco. Quella è la porta che lega le due componenti del quartiere: Corso Cavour a nord e Borgo XX Giugno a sud, che insieme compongono il Borgobello.

Prima di Fiab era arrivato Numero Zero, ristorante – o meglio, progetto di inclusione – aperto nel 2019 a pochi metri dalla porta e diventato opportunità di lavoro e relazione per persone che il mercato, nel suo perenne andare di fretta, preferisce assistere piuttosto che integrare. Andando indietro negli anni, nel 2016, proprio ai piedi delle scale di Sant’Ercolano, un gruppo di visionari aveva rilevato una delle tante rivendite di giornali che stavano chiudendo i battenti in città per farne una mini libreria indipendente che nel tempo ha messo radici e germogliato. Edicola 518, si chiama, e come Numero Zero si tratta di un’esperienza che è finita anche sulle pagine di riviste specializzate di paesi europei, visto il livello di innovazione di cui è portatrice.

L’attivismo ambientalista di Fiab, l’inclusività innovativa di Numero Zero e la feconda biodiversità culturale incarnata da Edicola 518 sono gli ultimi ingredienti che si sono andati a mescolare in questo dedalo di stradine attraversate da quella sorta di decumano che è l’asse Corso Cavour-Borgo XX Giugno che da un decennio a questa parte sta vivendo un’autentica rinascita. Antonietta Alonge, commerciante, residente e presidente dell’associazione di quartiere la racconta così, seduta durante la pausa pranzo all’interno del suo negozio: «Sono arrivata qui che era il 2007, e quando ho visitato questo locale ho immediatamente realizzato che poteva fare al caso mio poiché mi avrebbe consentito di predisporre nel soppalco qui sopra un piccolo laboratorio per la creazione dei miei gioielli. Però erano anni in cui c’era un forte giro di spaccio, e ti confesso che mi è capitato di chiudere a chiave per evitare disavventure. Poi abbiamo cominciato a lavorare con gli altri, e oggi eccoci qua: molte cose sono migliorate, su alcune c’è da lavorare, ma si tratta di una rigenerazione che è nata spontaneamente, dal basso, senza particolari aiuti dalle istituzioni. Anzi».

Quella della presidente dell’associazione dui quartiere è una delle 117 attività commerciali censite nel 2021 da Marcello Archetti – antropologo non nuovo a mappature cittadine di questo tipo – nell’ambito di una ricerca sul quartiere. «Erano 20-25 fino a poco prima. C’è stata una crescita esponenziale nell’arco di tre-quattro anni, a cavallo degli anni dieci del Duemila», dice Fabrizio “Fofo” Croce, consigliere comunale della lista civica “Idee, Persone, Perugia” nonché storico animatore culturale in città e tra i protagonisti della rinascita del quartiere, essendo coinvolto in T-Trane, luogo che è un po’ sala da tè, un po’ pub e un po’ rivendita di vinili aperto nel 2012, quando i vinili non erano ancora tornati di moda. Era da almeno un paio di decenni che la zona stava vivendo un processo di desertificazione dei residenti analogo a quello che ha attraversato altri luoghi antichi e storici di Perugia. L’arrivo in massa degli studenti universitari negli anni ottanta e novanta del secolo scorso aveva consentito a molti proprietari di abbandonare i vecchi appartamenti del centro mettendoli però a valore dandoli in affitto e traendone le risorse per pagarsi le nuove abitazioni che sono andate tappezzando le colline dei dintorni contribuendo a fare di Perugia la città espansa e poco compatta che è diventata. La città si allargava, diventava meno governabile dal punto di vista del trasporto pubblico, ognuno si isolava un po’ e al tempo stesso intere aree del centro perdevano un pezzo della loro composizione originaria, quella dei residenti storici, con tutte le conseguenze in termini di depauperamento di negozi di vicinato e di relazioni che un fenomeno del genere porta con sé.

Già, ma qual è stata la reazione chimica peculiare – perché di questo si è trattato – che ha consentito che questo margine di centro storico che viveva e in parte vive tuttora, come vedremo, all’ombra della più prestigiosa acropoli raccolta intorno a Corso Vannucci, i cui spazi svuotati di residenti venivano occupati dai traffici loschi e dai personaggi che ne erano protagonisti; qual è la reazione chimica, dicevamo, che ha consentito al Borgobello di tornare a splendere? «Questo è un quartiere ricchissimo: ci sono il complesso di San Pietro e quello di San Domenico, il Museo archeologico e molto altro ancora, le potenzialità ci sono tutte», dice Alonge. La ricchezza è costituita anche dai gruppi teatrali, tre nel raggio di poche centinaia di metri, dalla scuola di danza, dallo Zenith, che mentre le storiche sale cittadine aggredite dalle multisale mollavano, ha tenuto duro continuando a offrire cinema di qualità. A tutto questo Croce aggiunge altri due elementi: la morfologia del luogo, che essendo in pianura consente una camminabilità comoda, e il fatto che «i locali a un certo punto si erano deprezzati al punto che chi avesse voluto intraprendere un’attività qui l’avrebbe potuto fare con un investimento abbordabile». E così è stato. All’alba degli anni dieci del Duemila nasceva il Distretto del Sale, associazione di commercianti che inventò la “Mezzanotte bianca”, una serata in cui si pedonalizzava la zona, le attività rimanevano aperte e si poteva assistere a spettacoli di vario tipo. «Collaboravano tutti – ricorda Croce – anche i carabinieri e i vigili del fuoco, che lungo il Borgobello hanno due importanti presidi, hanno offerto i loro locali. Abbiamo fatto diciassette o diciotto mezzenotti bianche ed è sempre stata una festa, non c’è mai stato un articolo di cronaca nera a macchiare la cosa».

Il successo delle iniziative illuminava la zona con una luce nuova. Le attività crescevano e tornavano pure i residenti, magari i figli dei proprietari che se n’erano andati in collina, attratti da questa nuova vita, risistemavano i vecchi appartamenti e ci si stabilivano, da soli o con le famiglie. Oggi degli oltre 1.600 residenti censiti da Archetti, più della metà sono di origine perugina o umbra. Su tutto questo s’innestò l’intuizione di fare di Palazzo della Penna un vero e proprio centro culturale. Nell’arco di diciotto mesi i visitatori furono trentamila. Una enormità. Fu il canto del cigno dell’amministrazione Boccali, che per il tramite dell’assessore alla Cultura, Andrea Cernicchi, attivò la cosa. Poi arrivò la giunta Romizi, e la cultura in città, nell’idea del centrodestra che aveva cominciato a governare, ha rischiato spesso di coincidere con Perugia 1416, manifestazione il cui successo è inversamente proporzionale alla gran mole di finanziamenti pubblici ricevuti. Ma questa è un’altra storia. Anzi, no. Questa è parte della storia. Ecco perché.

«Mi capitano spesso turisti che mi chiedono dove sia il centro storico – racconta con una punta di fastidio Alonge -. Io rispondo che questo è centro storico. Allora mi incalzano facendosi indicare cosa ci sia da vedere. Cioè: tutti i tesori di quest’area non sono neanche segnalati. Quello che abbiamo ce lo siamo guadagnati e ce lo continuiamo a guadagnare con le unghie: alla nostra associazione l’amministrazione comunale eroga 3-4 mila euro l’anno, un’inezia rispetto a quanto si spende per la parte alta dell’acropoli, e per l’area come si può vedere non c’è neanche uno straccio di segnaletica». Nel 2014, un gruppo di lavoro coordinato dall’urbanista dell’Università di Perugia Mariano Sartore ha messo a punto un progetto per la semipedonalizzazione dell’area. Senza auto, con parcheggi dedicati magari a poche centinaia di metri da casa per i residenti, questa zona diventerebbe ancora più godibile. Ma niente. Il progetto è rimasto nel cassetto. Come nel cassetto dell’amministrazione è rimasta l’intera area. L’ultima attenzione istituzionale fu quella che ha avuto Palazzo della Penna come ombelico, ma erano più di dieci anni fa, un’altra era. Un’era che fa concludere a Fabrizio Croce che la reazione chimica che ha consentito la rinascita della zona sta forse nella sinergia che si riuscì a stabilire tra le potenzialità del luogo e un minimo di attenzione istituzionale. «Né l’una né le altre, da sole – dice Croce – ce l’avrebbero fatta».

Poi Borgobello è stato messo come tra parentesi dall’amministrazione comunale. Ma i semi erano già germogliati. E i frutti si sono visti anche durante il Covid, quando l’associazione di quartiere, nella quale nel frattempo era confluito anche il Distretto del Sale, e che è diventata a tutti gli effetti dei residenti e dei commercianti, si è attivata autonomamente con iniziative di solidarietà a favore dei residenti entrati in difficoltà a causa delle repentine chiusure che hanno impoverito pezzi di popolazione già fragile. Anche in questo caso un’attivazione dal basso, al di là di qualsiasi attenzione istituzionale.

Sarà stato pure messo tra parentesi, Borgobello, ma la bellezza, le energie positive e la rigenerazione dal basso fuoriescono da quelle parentesi. Contaminano positivamente. E chissà che il meglio non debba ancora arrivare, per quanto già buoni frutti si possono assaggiare.

Foto da pxhere.com
Articolo pubblicato nel numero di micropolis allegato a il manifesto del 7 febbraio 2024

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