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Sinistra, i partiti sono una gabbia

 

I porti chiusi e la caccia al povero in versione volpe stupida, sono scorciatoia preferenziale verso un’ignoranza globalizzata che predica gravitazione sociale e discrimine di “razza” e di “censo”. Non si può essere equidistanti di fronte a tutto ciò, bisogna prendere parte senza se e senza ma, non farlo significherebbe consegnarsi una volta per tutte all’ineludibilità del censimento delle diversità e della demonizzazione della debolezza. Quelle diversità da rivendicare e quelle debolezze da tutelare, tanto ostiche anche per la sinistra istituzionale, si stanno trasformando da fonti sorgive di ricchezza in male assoluto. Tutti noi, nessuno escluso, abbiamo il dovere di osteggiare un mondo che “clandestinizza” l’umanità e mette alla gogna la povertà, a tutti noi il compito improcrastinabile di tornare a praticare “il sogno di una cosa”, non certo per reificare il reale, quanto per continuare a desiderare un mondo migliore. Per farlo bisogna rinunciare a quella parte di noi che convive con le ombre della percezione e con la disumanità contabile dell’efficienza e della prestazione, per farlo bisogna tornare a criticare con mente e corpo il classismo discriminatorio della destra, bisogna cioè riappropriarsi di noi, spogliandosi di noi. Facile a scriversi, difficilissimo a farsi, ma è nell’affrontare le difficoltà trasformandole in opportunità che una sinistra degna di tal nome può ritrovare sé stessa, non limitandosi a coordinare un domani così lontano da risultare sterile, ma impegnandosi nell’organizzazione del qui e ora a cominciare dalla difesa degli ultimi siano essi di “pelle” o di “censo”, siano essi di “pelle” e di “censo”.

Che fare? Mai quesito risultò, risulta e risulterà più difficile da risolvere nella sua banalità per chiunque avesse avuto, abbia e avrà la tensione ideale e la volontà pratica di cambiare le sorti del mondo. Sopra in corsivo una possibile via di uscita binaria, che in quanto tale non risponde sufficientemente alla complessità contemporanea. Non sufficiente, ma basilare per riappropriarsi di noi, primo ineludibile passo per poter invertire un senso che sembra portarci, con collettivo disinteresse che sfiora l’asfittico dell’apatia, verso un baratro di cui è difficile scorgere il fondo. Opporsi alla discriminazione di pelle e di censo e allo stesso tempo creare un intransigente movimento che non si limiti all’opinione, ma che sia in grado di incidere nel campo del reale, contro la guerra come metro regolatore di libertà sia essa resistente, sia essa vendicativa. Niente di nuovo sul fronte occidentale insomma, difendere la dignità di tutti partendo dal difendere la vita di ciascuno. Ovvietà che il cinetico rincorrere un successo sancito dal merito, che sotto la sua presunta e rivendicata neutralità nasconde l’amo mortale dei rapporti di classe che tutto avvolgono, ha finito con il rendere chimeriche. Tanto che la difesa del diritto all’agio di un presunto ceto medio, che altro non fa che rispondere ai desideri di dominio di un élite ristretta che esercita potere attraverso un comando incontrastato, di una piccola parte di mondo, più trasversale geograficamente rispetto a ieri, è il vero nodo centrale di ogni competizione elettorale, una democrazia che alterna il ricorso alle urne con i bombardamenti. O meglio, che fa dei bombardamenti un punto centrale nella difesa dei principi democratici.

Ovviamente la difesa dell’agio di pochi comporta il controllo e la demonizzazione di molti, la tenuta della classe media, così indispensabile per il motore del capitalismo si declina nell’accettazione acritica di una povertà crescente e nell’imposizione muscolare della marginalità dei poveri, che vedono nella compassione e nella generosità una tantum del benessere le forme sporadiche e volontaristiche di tutela. Il vero problema che investe l’intera politica di sinistra, sia essa movimentista o istituzionale, sia essa centrale o periferica, è il riprendersi i propri temi attraverso le proprie parole, uscendo una volta per tutte dalla ragnatela, che non lascia possibilità di alternativa, della teocrazia di un benessere di merito, che in quanto tale dà eguale possibilità potenziale a tutti in partenza (ovviamente in una onirica teoria), senza starsi troppo a preoccupare di chi esce malconcio (in una cruda realtà) da una gara, che non prevede esclusioni di colpi nell’affannosa rincorsa dei pochi posti al sole, che nascondono, attraverso una tambureggiante propaganda prestazionale, le tenebre più che le ombre destinate ai più.

Passando concretamente al Belpaese che i sovranisti di oggi e fascisti di ieri chiamano amorevolmente Patria, esercitando classismo e carità, qualunquismo e discriminazione, propaganda populistica e strenua difesa delle ragioni dei potenti, che fare? Le sabbie mobili in cui la sinistra, che non è più tale, si è infilata con spensierata brama di governo, impongono che prima del fare si affronti lo spinoso tema del disfare, che contemporaneamente alla costruzione di una narrazione pratica fatta di elementi certi e parole chiare a cui seguano fatti concreti, si avvii la distruzione dei contenitori politici che oggi pretendono di essere soluzione e che in realtà risultano essere problema. È bastata la vittoria di un sindaco nella residualità periferica di Foggia, in cui, come in ogni competizione locale, la figura del sindaco stesso e i particolarismi territoriali hanno fatto la differenza, per far ripartire la giostra dell’improcrastinabilità del campo largo, del campo giusto. Una volta per tutte è forse il caso di uscire da questo equivoco che rischia di lasciarci senza prospettiva per un numero imprecisato di anni. Non c’è campo che tenga! Fissiamolo bene in testa tutti quanti nessuno escluso. Con buona pace di Conte e Schlein, sempre pronti a prendersi il merito autoattribuendosi lungimiranza e umiltà, va stabilito una volta per tutte che non possono essere né i Cinque stelle né il Pd, né tanto meno l’unione innaturale tra i due soggetti, a riportare in alto le ragioni e i sogni della sinistra. Non può essere il partito voluto da Veltroni per contrastare Berlusconi sul suo stesso campo con le sue stesse armi, non può essere il partito, che con Renzi ha finito con il preferire il manager della Fiat all’operaio della catena di montaggio, a risollevare le sorti di una sinistra che ha di fatto minato nelle sue basi identitarie. Non può riuscirci allo stesso tempo il movimento del qualunquismo bipartisan, che ha governato con la Lega e che si è fatto promotore delle leggi sulla sicurezza e di altri scempi istituzional/sociali, tanto da non riuscire a pronunciare la parola sinistra, ma di limitarsi a un neutro e composto arco progressista. Non può essere per ovvie ragioni l’unione tra queste due entità, peraltro in eterno conflitto, a ridare orizzonte ai subalterni designati della patria. Il lavoro di ricomposizione allargata, tanto a livello istituzionale quanto a livello sociale, va praticato con immediata urgenza tenendo insieme l’articolazione contemporanea dei bisogni e dei desideri di sempre, con la disarticolazione costruttiva dei contenitori politici che quei bisogni e quei desideri hanno cancellato e che pretendono di rappresentare.

Il buio governa lo spazio ben prima e ben oltre la siepe, ritrovare la fiaccola che illumini il “che fare?” è l’unica ragionevole pratica politica. La transizione, che non si limiti all’ecologia ma che avvolga l’intero tessuto sociale, è il metodo che deve guidare ogni azione, una transizione in grado di farci uscire dalle secche attuali attraverso un “movimentismo” diffuso fatto di vecchi ideali e di nuove pratiche, che crescendo in nuovi contenitori, in grado di trovare sintesi, sia in grado di far germogliare gli impulsi di giustizia e libertà che i contenitori di oggi hanno con radicale moderazione assopito, senza riuscire a estirparli.

Foto da wikipedia commons

2 commenti su “Sinistra, i partiti sono una gabbia

  1. Tante belle parole, ma in concreto nulla di praticabile. Cosa significa Movimentismo Diffuso? Che significa Nuovi Contenitori?
    Per non morire Meloniani occorre un progetto a più mani di tutte le forze di opposizione con capacità di individuare candidati autorevoli. Altrimenti continuerà la notte

    1. direi che Vittoria Ferdinandi e il suo ascoltare prima tutti per solo poi parlare a ciascuno coinvolgendo e facendosi coinvolgere sia la risposta “istituzionale” più degna e più alta del “movimentismo diffuso” mentre il “patto avanti” può rappresentare la forma embroniale dei “nuovi contenitori” in cui riversare le tante belle parole da declinare in fatti.

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