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Dal Lazio all’Umbria serve un nuovo “I have a dream”

 

Davanti a una vittoria così schiacciante della destra nel Lazio, diventa importante analizzare in maniera approfondita i dati e la loro comparazione con le Regionali precedenti.

L’affluenza è il dato più eclatante e dal quale partire. La percentuale di elettori alle urne è passata dal 71,96 del 2013 al 66,55 del 2018 fino ad arrivare al 37,2 del 2023, quando quasi due persone su tre hanno deciso di non votare. In particolare, circa 1,4 milioni di elettori negli ultimi cinque anni, hanno scelto di disertare i seggi.

La destra

Stravince con il 53,9 per cento. Considerando che nel Lazio non è previsto il doppio turno e che dal 2010 (Renata Polverini, centrodestra) un candidato non superava la soglia del 50 per cento, la vittoria è nettissima. Analizziamo ora i valori: Francesco Rocca (centrodestra) nel 2023 ottiene 934.614 voti (53,9 per cento). Nel 2018 l’allora candidato della destra, Stefano Parisi, ne prese 964.418 (31,2 per cento). Quindi, la destra sconfitta cinque anni fa da Zingaretti otteneva circa 30 mila voti in più di quella che stravince nel 2023. Dobbiamo inoltre ricordare che nel 2018, come candidati alla Regione, c’erano anche Sergio Pirozzi (ex sindaco di Amatrice) che prese il 4,9 per cento (151.476 voti) e Mauro Antonini di Casapound che raccolse l’1,9 per cento (60.131 voti).

Dalla comparazione dei dati si evince come la destra, al netto del tasso di astensione sempre più alto, riesca a mobilitare i suoi elettori, anche con una certa facilità. Il dato si fa più chiaro se, andando ancora più indietro nel tempo, si considera che alle elezioni del 2013, con un’affluenza del 72 per cento, Francesco Storace, candidato e già presidente in carica, perse le elezioni raccogliendo il 29,32 per cento con 959.685 voti, Praticamente gli stessi voti di domenica scorsa! Va ricordato peraltro ricordare che anche nel 2013 il campo della destra presentava altre candidature, con Giulia Buongiorno che raccolse il 4,43 per cento (124.244 voti) e l’allleanza Casapound-Forza Nuova che ottenne circa 26 mila preferenze.

La conclusione è molto chiara: la coalizione di centrodestra nel Lazio, può contare su un consenso intorno ai 950mila voti, confermato quasi totalmente nel 2013 con Storace, nel 2018, con Parisi e nel 2023 con Rocca. Sono finiti nell’astensionismo quasi esclusivamente i voti della destra che si era presentata in contrapposizione allo schieramento principale.

La sinistra

Si è presentata alle Regionali del Lazio divisa, anche se le elezioni erano a turno unico, riproponendo la stessa spaccatura delle Politiche di un anno fa. Dal momento che il cosiddetto campo largo, cioè quell’area politica che comprende Pd, M5S, Alleanza Verdi-Sinistra e il Terzo polo centrista, non si è mai trasformato in alleanza elettorale, in questa comparazione si continuerà a considerare il M5S in maniera isolata, cioè al di fuori fuori dal campo del centrosinistra.

Alessio D’Amato era sostenuto da Pd, Terzo polo e Alleanza Verdi-Sinistra, cioè da un’area politica simile a quelle vincenti con Zingaretti nelle due elezioni passate. Quest’alleanza raccoglie nel 2023 il 33,5 per cento (581.033 voti). Nel 2018, il presidente uscente, Nicola Zingaretti, vinceva con il 32,9 per cento (1.018.736 voti). Quindi in cinque anni quest’area ha perso 437.703 voti, che rappresentano un -43 per cento. Una débacle, che è ancora più evidente se si prende a riferimento l’arco temporale degli ultimi dieci anni. Nel 2013, infatti, Nicola Zingaretti, vinceva su Francesco Storace, con il 40,65 per cento (1.330.938 voti).

In dieci anni il centrosinistra subisce una disaffezione del suo popolo con una perdita di 750 mila voti (-56 per cento). Cioè: più di un elettore su due, in dieci anni, ha scelto di non confermare il voto per quell’alleanza. E se fino al 2018 i voti in uscita dal centrosinistra andavano per lo più verso il M5S, nelle ultime due tornate elettorali – Politiche 2022 e Regionali 2023 – la direzione d’uscita è stata verso l’astensionismo, con un voto che vede centrosinistra/astensionismo in un rapporto inversamente proporzionale: -56 per cento di voti per la sinistra e +48% per cento per l’astensionismo.

È insomma evidente che il popolo della sinistra ha disertato le urne.

Il M5S

Nel 2023 con la candidata Donatella Bianchi, supportata anche da una lista di sinistra, prende il 10,8 per cento con 186.562 voti. Considerando che solo cinque anni fa, l’allora candidata Roberta Lombardi raccolse il 27 per cento con 559.752 voti, la perdita che si registra è di 373.190 voti: meno 67 per cento. Due elettori su tre. Sintomo del fatto che la capacità del M5S di attrarre i voti in uscita dai partiti maggiori dei due schieramenti (Pd e Fi in primis), fortissima fino al 2018, si è esaurita. Se per diversi anni i grillini hanno rappresentato un argine all’astensionismo, dal 2019 quell’argine si è rotto. Una rottura solo in parte mitigata alle ultime Politiche dalla leadership di Giuseppe Conte, che però nelle tornate amministrative è assai meno valorizzabile.

I dati evidenziano come quello per il M5S sia un voto che, nell’attuale quadro politico, non è contendibile dagli altri schieramenti. È un voto cioè che non trova attrattivo il ritorno alle sponde dalle quali si è staccato ormai una decina di anni fa. Il Pd e i partiti della sinistra non riescono a riprendersi quell’elettore che, nell’ultimo decennio, ha scelto di spostare il suo voto dal centrosinistra al M5S e che ora conclude questo lungo viaggio, durato quasi 15 anni, rifugiandosi nell’astensione.

Conclusioni (con uno sguardo sull’Umbria)

Tra chi si occupa di politica è sempre andato di moda un mantra: la bassa affluenza alle urne avvantaggia il centrosinistra. Questo perché si è considerato, da sempre, l’elettorato di sinistra come un elettorato appassionato, impegnato, militante, che anche dopo accese discussioni sulla linea o sul candidato ha sempre vissuto l’appuntamento elettorale come un dovere civico. Questo mantra non vale più. Forse proprio per la sua passione, per l’impegno, per la militanza, l’elettore di centrosinistra, non riconoscendosi nel gruppo dirigente o nella proposta politica in campo, decide ora di non andare a votare. Non è più disposto ad accettare un progetto privo di identità. Vuole riconoscersi in un progetto politico chiaro e di alternativa. Governare lo status quo non gli interessa. In questo quadro la destra fa il suo. Con una proposta politica chiara e identitaria, nella quale gli elettori riescono a riconoscersi, mobilita il suo mondo, anche in un momento di generale disaffezione alla politica, e questo è sufficiente per stravincere.

Questo è il quadro che ci troveremo davanti anche in Umbria, che vedrà nelle elezioni dei due capoluoghi e nelle Regionali gli appuntamenti più importanti. Con una destra unita e identitaria capace di compattare il suo elettorato e confermare i suoi voti, se la sinistra non sarà capace di costruire una sua proposta politica chiara, unitaria e di alternativa, continuerà a leccarsi le ferite per diversi anni.

L’analisi del voto ci dimostra che il centrosinistra, se vuole tornare a vincere, non deve cercare di rubare i voti alla destra. Bensì deve convincere il proprio elettorato a tornare al voto. Un elettorato disilluso e demotivato dalla politica della responsabilità, dal ce lo chiede l’Europa e dai troppi ma anche. Un popolo che vuole tornare a riconoscersi in un progetto che lo guidi verso un mondo più giusto. Un nuovo I have a dream.

Foto da wikimedia commons

2 commenti su “Dal Lazio all’Umbria serve un nuovo “I have a dream”

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