La locandina del docuvideo "La pancia verde"
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La pancia verde. I tanti mutualismi possibili

 

Un docuvideo e un libro sulle pratiche di auto-assistenza messe in atto in diverse zone dell’Umbria nei mesi della pandemia. Un’indicazione di nuovo welfare possibile che recupera le radici da cui è nata l’universalità delle prestazioni: il movimento cooperativo dei subordinati all’alba del novecento. Un passo indietro per guardare avanti

Nei mesi più bui del blocco delle attività dovute alla pandemia si sono accese diverse luci qua e là per l’Umbria. L’intensità maggiore si è avuta nel capoluogo, ma in diverse altre aree si è registrato un moto di solidarietà consapevole e innovativa che merita di essere còlto. Dall’area del Trasimeno a quella dell’Orvietano, da Terni a Foligno, oltre che nel capoluogo, una serie di gruppi informali, associazioni preesistenti che facevano altro e comitati hanno preso a raccogliere soldi e cibo per andare incontro alle esigenze di quella fetta di popolazione che già prima dell’esplosione dei contagi faceva difficoltà ad arrivare a fine mese e che il coronavirus ha messo ko: lavoratori e lavoratrici morsi dal precariato, persone costrette a stare in nero alle dipendenze di qualcuno, piccoli agricoltori ritrovatisi senza sbocchi in cui poter vendere i propri prodotti, gente licenziata perché diventata inservibile con le attività chiuse. E non si è trattato di una parentesi: gran parte di quelle realtà continua a operare e si è anzi strutturata dopo i primi interventi ispirati necessariamente allo spontaneismo dovuto all’emergenza. Tanto da poter indicare questo arcipelago come la possibile articolazione di un nuovo welfare di prossimità che va a sanare le tante storture del welfare istituzionale, e dal quale quest’ultimo potrebbe aver molto da imparare.

Il valore seminale di queste attività è stato interpretato da Ferdinando Amato, videomaker, e da Giulia Tonelli, attivista, che ne hanno tratto la linfa che costituisce l’essenza di una produzione resa possibile da Umbria Equo Solidale. Ne è scaturito “La pancia verde”, un docuvideo e un libro in cui, grazie alle voci e ai volti di alcuni dei protagonisti e agli scritti di attivisti e osservatori, si tenta di valorizzare da un lato e di raccogliere concettualmente le tendenze di fondo di un movimento che non sa forse neanche di essere tale.

Da settimane Amato e Tonelli stanno portando la loro produzione nei diversi angoli dell’Umbria. E scorrono così nelle arene all’aperto le immagini e si ascoltano le voci di agricoltori e animatori e animatrici sociali che hanno saputo unire le umanità di città e campagne che erano rimaste ai margini per saldarle in una nuova alleanza basata sul cibo e sulla ricerca di benessere autentico. Cioè: a fronte di persone che non riuscivano a fare la spesa e di produttori che avevano visto chiudersi i canali dei mercati locali in cui settimanalmente potevano collocare i loro beni, si è pensato di creare o accrescere in quantità e qualità i gruppi di acquisto solidale in cui acquirenti compravano per sé e pagavano qualcosa in più per fare in modo che arrivasse cibo sulle tavole di chi non aveva in quel momento i mezzi per procurarselo.

Ne “La pancia verde” si ascoltano le testimonianze di chi ha visto più che raddoppiate le persone raggiunte con varie modalità: spese solidali, donazioni, erogazioni di buoni spesa, aiuto nel pagamento delle bollette. E si coglie come i produttori locali hanno potuto beneficiare di gruppi di acquisto che garantivano uno sbocco ai loro cibi in un momento in cui tutte le possibilità ordinarie erano inibite. Per capire l’entità del fenomeno è forse utile ricordare che alle circa 140 mila persone a rischio povertà in questa regione si sono aggiunti durante la pandemia almeno altri trenta-quarantamila donne, uomini, bambine e bambini sprofondati in stato di bisogno a causa dei lockdown necessari a contenere l’espansione del virus. Si tratta di persone che solo di rado sono state soddisfatte da risposte istituzionali. E sta in questo il valore prezioso del docuvideo e del libro curati da Amato e Tonelli, che hanno acceso i riflettori su pratiche eterogenee e rispondenti ognuna al contesto particolare in cui sono maturate, ma aventi un minimo comune denominatore che consiste nell’aver saputo offrire una risposta tempestiva, elastica, appropriata e partecipata ai bisogni emergenti.

“La pancia verde” offre uno spaccato di nuovo welfare possibile. Un welfare mutualistico e di prossimità che potrebbe assai proficuamente contaminare il welfare istituzionale troppo spesso ingessato da burocrazie che arrivano a negare la stessa ispirazione originaria del welfare. Quando la casa brucia, occorrono i pompieri per spegnere il rogo, non l’ufficiale che chiede i dati catastali dell’immobile. Così è stato durante la pandemia, con l’insorgenza del bisogno di assistenza e gli uffici comunali attaccati ai pali delle delibere e dei bandi mentre i gruppi informali nei quartieri rispondevano alle esigenze di una popolazione piagata.

La testimonianza della varietà e della portata del fenomeno è data dai tanti interlocutori che Amato e Tonelli hanno portato dentro “La pancia verde”. Sono oltre venti i soggetti che a vario titolo hanno offerto la propria testimonianza coprendo praticamente l’intero territorio regionale. E c’è da scommettere che alcuni saranno rimasti per forza di cose al di fuori di quello che non era un censimento ma un’opera dell’ingegno di due giovani adulti che hanno saputo cogliere meglio di molti osservatori assai blasonati una realtà gravida di possibili, positive conseguenze.

Tempestività, elasticità e appropriatezza delle risposte offerte, unitamente alla partecipazione diretta delle persone coinvolte, sono state, come accennato, le qualità che rendono interessante questa che non è forse esagerato definire una vera e propria creazione sociale fotografata da “La pancia verde”. Lo stare sul campo dei soggetti che hanno agito, ha garantito loro di poter agire nei tempi e con le misure necessari, oltre ad aver consentito di bypassare le scartoffie che le persone sono costrette a produrre ogni volta che accedono agli uffici di una qualche istituzione in cerca di aiuto.

E non si tratta di un fenomeno passeggero. Anzi. I gruppi protagonisti del docuvideo nel corso del tempo si sono organizzati e hanno affinato i rispettivi metodi di azione. Per questo si può parlare di creazione sociale. Tutti, seppure con accenti diversi, rivendicano di aver supplito alla latitanza delle istituzioni dovuta alle rigidità della burocrazia e alla miopia politica; tutti chiamano le istituzioni a un’assunzione di responsabilità. Ma quello che emerge da “La pancia verde” è che forse la pandemia, in questo senso, ha costituito una sorta di spartiacque, rendendo impietosamente evidente una realtà che serpeggiava già da prima: il welfare istituzionale mostra la corda, e la sperimentazione delle pratiche mutualistiche agite in pandemia può offrire una sponda sulla quale poggiare la costruzione di una assistenza tempestiva, elastica, appropriata e partecipata, qualità che gli interventi ordinari non garantiscono. Il mutualismo, del resto, è l’antenato del welfare: senza le pratiche cooperative di assistenza, oggi non avremmo la sanità, la previdenza, e forse neanche l’istruzione pubbliche e universali. Ma cullarsi su quelle conquiste non può andare, occorre modellare l’assistenza sull’emergenza delle nuove esigenze. “La pancia verde” ci dice questo. E ci dice anche che le risorse sociali su cui fare leva ci sono; basta avere occhi e orecchie per scorgerle.

È possibile vedere il docuvideo in streaming cliccando su questo link

*Articolo pubblicato sul numero 7-8 del mensile micropolis (www.micropolisumbria.it)

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