Un malato in ospedale
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Vengono da lontano gli acciacchi della sanità

 

Da mesi, prima che iniziasse la pandemia e poi nel pieno dello sconquasso provocato dal virus, il mensile micropolis sta analizzando lo stato della sanità umbra e le scelte fatte per affrontare l’epidemia. Uno screening prezioso per ripartire dal che fare?

Di certo i campanelli d’allarme sulle condizioni della sanità pubblica in Umbria hanno cominciato a trillare ben prima dello scoppio della pandemia di Coronavirus: da quando la spesa per gli ospedali ha superato quella per la medicina preventiva (quindi territoriale). Cioè da sempre. Considerando “anno zero” il 1978, quando venne creato il Servizio sanitario nazionale.
Da qui scorrono tutte le possibili riflessioni sul tema.

Scuola di pneumologia? No grazie

Si può partire da qualsiasi punto. Per esempio dall’assenza (almeno fino al 2019/2020) di una scuola di specializzazione universitaria per la pneumologia proprio nella fase in cui le borse di studio sono salite da 122 a 350. Sempre per rimanere in ambito universitario: il memorandum sottoscritto all’inizio del 2020 tra il rettore dell’UniPg, Maurizio Oliviero, e la presidente della Regione, Donatella Tesei, rafforza ulteriormente la posizione dell’Ateneo nello scenario della sanità ospedaliera con le ineliminabili forme di conflitto e ingerenza quando due entità di forza contrattuale rilevante operano nel medesimo contesto. Anche il tema della formazione degli Operatori socio-sanitari (Oss) va declinato con attenzione: una categoria essenziale in qualsiasi contesto di cura e assistenza che sconta una forte disattenzione nonostante la sua indispensabilità e la relativa velocità con cui una persona potrebbe conseguire la qualifica.

Il Registro dei tumori

A proposito dei pilastri che sorreggono le politiche sanitarie degne di questo nome è il caso di citare il “bombardamento” istituzionale a cui è stato sottoposto uno dei presìdi più qualificati: il Registro regionale dei tumori, attivato nel 1993 (e salito velocemente nelle graduatorie nazionali delle eccellenze), non ha avuto il rinnovo della convenzione e dal novembre 2019 naviga a vista dopo l’azzeramento del gruppo di specialisti che lo guidava con riconoscimenti unanimi sulla qualità del lavoro svolto in trenta anni di attività.

Le chirurgie “sbilanciate”

Il buon uso delle risorse disponibili richiederebbe anche l’ottimizzazione della decina di chirurgie attive in ambito regionale: emerge il paradosso della mancanza di personale dove le sale operatorie ne richiederebbero in maggior numero, mentre non si avrebbero carenze dove le sale non ci sono. Si moltiplicano i casi di scarsa comunicazione tra Usl territoriali e aziende ospedaliere con la cartella clinica digitalizzata di là da venire adottata in modo massiccio.

Le buone pratiche “superstiti”

Rimangono ancora attive alcune delle buone pratiche affermatesi nei due decenni successivi al varo della legge 833 che istituiva il Servizio sanitario nazionale, nel 1978. Qualche citazione che non esaurisce un panorama ben più articolato e ricco di esempi: nel Perugino, il rapporto scuola-servizi sanitari per i casi di malattie latenti (asma, allergie, epilessie); oppure il “progetto diabete” con 16 équipe multidisciplinari per interventi domiciliari, la cosiddetta “medicina di iniziativa”. Oppure, a Terni, i servizi dello stroke unit team per limitare le devastazioni dell’ictus oppure il servizio di dialisi a domicilio che, in città, segue il 25% delle persone con patologie renali a fronte della media regionale di circa il 10%. Chiunque volesse ragionare con sufficiente cognizione di causa sulle effettive condizioni del sistema sanitario regionale (e Cronache Umbre rientra nel novero) troverebbe un aiuto prezioso nello “speciale Covid” che il mensile micropolis (in edicola il primo mercoledì di ogni mese allegato a il manifesto) ha pubblicato nel numero di novembre 2020.

Speciale Covid

Otto pagine ricche di riferimenti, dati in serie storiche da rimettere in fila per riuscire a tracciare le linee di evoluzione (o involuzione) del quadro generale: danno la possibilità di recuperare il nitore di una lettura che la pandemia sembra aver trasformato in un “bailamme” di voci, opinioni, numeri, percentuali pressoché illeggibili per la successione quotidiana con cui vengono sparse da ogni mezzo d’informazione. L’inserto curato da un gruppo di sette collaboratori e collaboratrici del mensile arriva come punto di riorganizzazione delle idee e delle analisi sedimentate nell’arco di diversi mesi sotto l’intestazione “Dopo la bufera, viaggio dentro la sanità umbra”: una ricognizione svolta da Osvaldo Fressoia che ha raccolto il “testimone” del lavoro svolto per anni da Maurizio Mori, uno dei fondatori di micropolis riconosciuto da ogni parte come un’autorità in tema di politiche sanitarie. Dall’estate del 2019 all’aprile 2020 il mensile ha preso le misure al sistema (socio) sanitario regionale osservandone le trasformazioni degli ultimi 20 anni, riferendo le esperienze delle associazioni impegnate nella tutela delle persone afflitte dalle patologie più varie, guardando in controluce le realtà dei distretti sanitari in cui sono suddivise le due Unità sanitarie locali. Testi che meriterebbero di venir ricomposti in una pubblicazione alla stregua di un vademecum sulla “salute della sanità regionale”, materiali particolarmente utili a capire come dovrebbe “pensarsi” l’Umbria dopo il “momento della verità” esploso a marzo insieme alla pandemia: senza la sanità pubblica non c’è futuro per la società nel suo insieme; il sistema va salvaguardato e obbligatoriamente potenziato nelle risorse, umane ed economiche.
Ora si tratta di capire se e come, con i contraccolpi della pandemia, il sistema sanitario regionale stia reagendo e se stia affermando la sua natura pubblica, di bene comune equilibratamente redistribuito nei territori. Un irrobustimento che non può prescindere dal salto di qualità che le politiche di educazione alla salute sono chiamate a compiere immediatamente perché ogni persona sia in grado di scegliere come comportarsi in caso di urgenza: basti dire che il pronto soccorso di Terni registra circa 40mila accessi l’anno di cui il 70% è in codice bianco.

Lo “speciale Covid” di micropolis prova a dare alcune risposte analizzando processi affermatisi nell’arco di due decenni, dal 2000 in poi.
In particolare, è interessante questa pagina, dalla quale si evince che: 1) La spesa annuale del 2018 per la sanità confrontata (a valori costanti) con quella del 2000 registra un calo del 2,8% (si veda l’articolo “In Umbria si riduce la spesa pubblica in sanità”). 2) Gli ospedali assorbono il 65% delle risorse a fronte del 34% dedicato ai servizi territoriali (prevenzione, cura, assistenza domiciliare); il Patto della salute 2010-2012 (l’ultimo varato) prevede la proporzione esattamente capovolta (citazione leggibile in terza colonna); 3) Scende il numero dei posti letto complessivi: da 4300 (circa) del 1997 si è passati a 3000 (circa) nel 2017 (citazione in prima colonna); 4) E’ diminuito il numero complessivo delle persone addette al settore, con un taglio di 600 posti nei ruoli tecnici e amministrativi (le cifre sono nella tabella). 5) Il numero dei medici tra il 1997 e il 2017 sale di 140 unità, quello degli infermieri di 200. a fronte dell’aumento della popolazione -negli stessi anni- di circa 70mila unità con il contemporaneo innalzamento dell’età. 6) È raddoppiato in dieci anni (2003-2014) il numero di persone anziane che richiedono trattamenti sanitari a domicilio (citazione in seconda colonna). Una lettura superficiale (con occhio ragionieristico) di queste tendenze potrebbe dare la sensazione di trovarsi davanti a risultati virtuosi: non è così.
Il gruppo redazionale che ha curato l’inserto ne spiega in dettaglio i motivi proprio negli articoli della pagina linkata sopra.

Per ciò che riguarda il quadro delineatosi con l’estendersi dell’epidemia altre considerazioni meritano di venir evidenziate.
1) La Giunta Tesei ha delegato alla struttura commissariale governativa la realizzazione degli interventi necessari a fronteggiare l’emergenza (aumento terapie intensive e semi-intensive, ambulanze, ristrutturazione pronto soccorso, separazione percorsi) – cfr. Delibera G.R. 1006 del 2 novembre 2020; (si veda l’articolo “Il piano della discordia”;
2) stato confusionale della Giunta Tesei dal 18 maggio 2020 (fine confinamento prima ondata) in poi: attivate 12 Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) al posto delle 18 previste dai vari Dpcm, una ogni 50mila abitanti; ospedale da campo di Bastia Umbra rimasto congelato nonostante la spesa; convenzione con l’ospedale – Bertolaso a Civitanova Marche (si veda l’articolo “La pandemia riesplode, la Giunta regionale si dimena”);
3) opacità delle comunicazioni in tema di budget: vedi la composizione delle spese emergenziali studiata da Prometeia in tutte le regioni. La voce “spese non altrove classificate” pesa in Umbria per il 75,1% (19,5 milioni) a fronte del 9,9% nazionale (si veda l’articolo “Spesa sanitaria e distributori di snack e caffè”).

Inutile girarci intorno: siamo davanti agli effetti di scelte politiche che hanno pensato alla sanità come a un soggetto economico: una serie di aziende. Quelle ospedaliere hanno mantenuto questa dizione, dalle Usl è stata eliminata la “A”. Utile replicare che è inutile girarci intorno: sono state scelte adottate dalle maggioranze di centro-sinistra (Lorenzetti e Marini) perfettamente congeniali al centro-destra di Coletto e Tesei. Processi ad alta complessità resi possibile dall’allineamento delle dirigenze e osteggiati senza convinzione dalle organizzazioni sindacali. Del resto la ricognizione durata un anno di cui si è parlato in apertura aveva messo in evidenza un numero significativo di segnali che confermano la sensazione di un pericoloso indebolimento di tutta la struttura organizzativa della sanità pubblica regionale.

Foto da pixabay.com

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