Una mano che stritola un fiore
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Sanità, l’annus horribilis e la morsa europea

 

Una premessa e una dichiarazione, in nome della trasparenza e anche per far capire quali sono gli intenti alla base delle scelte che hanno portato a varare il sito di Cronache umbre. Quello che state per leggere è un articolo-racconto che è una sorta di seconda puntata rispetto a quello scritto qualche giorno fa (lo trovate qui). Le due cose hanno comunque una loro autonomia e possono essere lette anche disgiuntamente. Lì si descriveva una sanità regionale da anni costretta a correre al massimo dei giri con i rischi facilmente intuibili in situazioni di emergenza. Qui si sono cercate di ricostruire le ragioni dei tagli che hanno portato a questa situazione. Il convincimento che muove questa operazione è che le politiche non siano frutto di uno stato di cose naturalmente dato, come a volte si tenta di far passare da parte di chi le compie, bensì di scelte. Perché la politica, per quanto i contesti possano essere vincolanti, è scelta, altrimenti non esisterebbe, e infatti sta pressoché scomparendo, verrebbe da concludere. Comunque, se volete, buona lettura.

Le smentite del ministro

Il 4 luglio 2012 su Roma il cielo non è limpido come ci si aspetterebbe in un giorno d’estate. Il sole che supera a stento la cortina di nuvole fa rilevare alle stazioni meteo una temperatura massima di 26 gradi. Il ministro della Salute Renato Balduzzi esce dall’incontro per la definizione del nuovo Patto per la salute a cui ha appena partecipato insieme al sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo e a una delegazione della Conferenza delle regioni e detta una nota da diffondere al suo ufficio stampa. Lo fa per «esprimere soddisfazione per la qualità e la franchezza del confronto tra i ministeri della Salute, dell’Economia e le Regioni», aggiungendo poi di confidare «nella possibilità di poter entro poche settimane definire le scelte fondamentali del Patto per la salute 2013-2015». La «franchezza» cui fa riferimento Balduzzi è un termine che va tradotto dal politichese e che in italiano suonerebbe più vicino a ruvidezza. Lo si capisce dagli esiti di quella riunione. Il Patto per la salute non verrà mai firmato, e in assenza dell’intesa con le regioni il governo Monti procederà a raschiare dai sui successivi tre anni i 6,8 miliardi di tagli al fondo sanitario nazionale che aveva deciso motu proprio. Nelle ore immediatamente successive all’incontro poi, comincia a propagarsi in tutta Italia il tam tam del taglio dei piccoli ospedali. Tanto che lo stesso Balduzzi è costretto a diramare a una nuova dichiarazione in cui precisa che «nessuna chiusura automatica di ospedali verrà imposta da Roma». Salvo poi aggiungere che «è sicuramente necessaria una riorganizzazione della rete ospedaliera che porti a una riduzione di costi di gestione». Il giorno successivo circola già una lista delle 149 strutture ospedaliere sotto i duecento posti letto che secondo le intenzioni attribuite al governo dovrebbero chiudere.

Nonostante il clima temperato di quel giorno sono mesi roventi. In cui si taglia o si promette di tagliare di tutto: uffici giudiziari, enti pubblici, pensioni e pure la sanità. La presidente dell’Umbria è Catiuscia Marini, che tanto per capire com’era andata la riunione del giorno prima, il 5 luglio fa uscire una nota in cui sottolinea come «il nuovo, ennesimo taglio al Fondo sanitario nazionale annunciato dal governo preoccupa molto. Soprattutto perché per il 2012 inciderà in maniera lineare, colpendo allo stesso modo le regioni virtuose, come l’Umbria, e quelle che non hanno i conti in ordine». Marini rincarerà la dose meno di una settimana più tardi. Il 9 luglio a Roma si tiene un’iniziativa del suo partito, “Il Pd per il diritto alla salute”, s’intitola. Marini nel 2012 è una bersaniana convinta, e proprio davanti al suo leader dell’epoca, Pierluigi Bersani, e allo stesso ministro della Sanità di un governo sostenuto praticamente da tutto l’arco parlamentare – compreso il Pd – scandisce: «Stiamo assistendo a un vero e proprio assalto al Sistema sanitario nazionale, e con i tagli lineari, di fatto, si somministra la stessa medicina a pazienti diversi». La situazione è pesante già di suo. Pochi mesi prima, il 28 marzo, a un altro degli incontri per la definizione del Patto per la salute che non verrà mai siglato, le regioni avevano ribadito la necessità di ridiscutere il fabbisogno del 2013 e del 2014 in relazione al taglio fatto dal precedente governo che «non consente – si legge in una nota stampa di quel giorno – la sostenibilità del servizio sanitario nazionale».

I due bracci della tenaglia

Ma non è abbastanza. Sulla sanità, o meglio, sull’Italia tutta si sta stringendo la morsa europea, e di qui a poco vedremo perché. La storia pare già scritta. I tagli passeranno. E si porteranno dietro anche quelli previsti dal ministro dell’Economia del precedente governo Berlusconi, Giulio Tremonti. Il risultato sarà che dal 2010 al 2013 la spesa sanitaria in Italia calerà da 111,9 a 110,3 miliardi, secondo i dati forniti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas). Dopo Monti ci sarà la breve parentesi del governo Letta a cui succederà per il biennio 2014-2016 Matteo Renzi, che è diventato nel frattempo capo del suo partito, il Pd, e del governo. Il sito del ministero della Salute annota scrupolosamente che «il Patto per la salute 2012-2014 prevedeva di arrivare a un livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale pari a 115,4 miliardi di euro nel 2016, salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico. Ma il finanziamento si è fermato a circa 111 miliardi». In Umbria la frustata arriverà subito dopo Monti e poco prima di Renzi, con un calo di spesa di 13 milioni nel biennio 2012-2014 (da 1.658 a 1.643 milioni).

In questa regione peraltro, la tenaglia ha due bracci: il primo è quello della spending review, inglesismo che copre ed eufemizza l’italianissimo e più diretto tagli, le cui cifre si sono appena accennate. L’altro è quello della riforma sanitaria già avviata in quell’anno dalla Giunta regionale, che arriverà a compimento in autunno: un’opera di razionalizzazione da un lato, e di contenimento dei costi (l’ennesimo) dall’altro. Il risultato è che le zelanti smentite del ministro riguardo le indiscrezioni di stampa verranno smentite a loro volta. E alla fine dei diversi giri di giostra e per effetto di diversi provvedimenti provenienti dai governi centrale e regionale, l’ospedale psichiatrico di Perugia, che risultava nell’elenco delle 149 strutture a rischio smentito dal ministro verrà chiuso. I posti letto negli ospedali pubblici verranno ridotti per decreto (il 95/2012, convertito in legge nell’agosto di quell’anno) a 3,7 ogni mille abitanti (in Europa la media è di 5,1). E l’Umbria, come a voler vestire i panni di quello più realista del re, è oggi a 3,4 ogni mille abitanti, con una riduzione di mille posti in vent’anni e alcuni reparti saturi, come abbiamo già documentato. Da un lato le chiusure e i dimagrimenti imposti dalle sforbiciate montiane, dall’altro una riforma regionale che arriverà a chiudere anche alcuni punti nascita giudicati non abbastanza performanti: il 31 luglio 2012 la presidente Marini annunciava che in base al monitoraggio effettuato, la rete dei punti nascita andava «ridisegnata», cioè tagliata. Nel mirino entravano i punti in cui si registravano meno di 500 parti l’anno. Risultato: erano 11, oggi sono sette. E non finisce qui. Perché ora rischia pure il punto nascita di Pantalla. In sostanza le mamme che devono mettere al mondo figli, per stare comode devono trovarsi a Perugia, Terni, Foligno, Spoleto, Orvieto Gubbio e Pantalla (finché regge). Altrimenti devono prepararsi a mettersi in macchina e fare diversi chilometri alla prima doglia, nella speranza di arrivare in tempo. Nel frattempo sono diminuiti anche i presidi di guardia medica e il personale sanitario ad essi dedicato.

Un anno simbolo

Un annus horribilis insomma, il 2012, che può essere preso a paradigma del taglio indiscriminato (la traduzione giornalistica e più comprensibile dell’aggettivo lineare usato dall’ex presidente Marini) di servizi ai cittadini, per i quali i cittadini stessi pagano ticket e tasse (l’addizionale regionale Irpef e l’Irap vanno a finanziare proprio la sanità). Ma il 2012 ha un prima e un dopo, che sono in perfetta continuità con questo andamento. Per avere un punto di riferimento, gli anni dieci del Duemila sono quelli dello strangolamento della Grecia ad opera della Troika. E in Italia, sono quelli della severa lettera al governo di Roma inviata da Jean Claude Trichet (all’epoca governatore della Banca centrale europea) e Mario Draghi (all’epoca suo successore in pectore), datata 5 agosto 2011. A Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, e per questo in molti accolsero la missiva come manna dal cielo. Solo che nella comunicazione di Draghi e Trichet c’era tutto quello che sarebbe venuto poi: «È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità», vi si legge. Ancora: «Andrebbero messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali». Due passi che descrivono come quella fosse più assimilabile a un’azione di commissariamento che a una moral suasion. I fatti accaduti di lì a pochi mesi e i provvedimenti del governo Monti, votato quasi all’unanimità, lo dimostrano. Appena in carica l’esecutivo annuncerà la riforma, cioè il taglio, delle pensioni con una piangente Elsa Fornero . Subito dopo comicerà la sarabanda dei tagli a tutto di cui è testimone la vicenda della sanità pubblica. Un settore nel quale, per dirne un’altra, la contrazione del personale medico e infermieristico arriverà a suon di sforbiciate e di blocchi del turn over a un punto tale che «l’introduzione delle disposizioni sul pensionamento anticipato (quota 100)» acuirà «la grave carenza di personale, rischiando di compromettere l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza»; i virgolettati sono citazioni tratte dal sito della Camera dei deputati.

I destini dell’Umbria insomma, questa sanità al limite della saturazione dei posti letto, con i conti in ordine ma i servizi sempre più asciutti, hanno una radice lunga migliaia di chilometri, che arriva fino a Bruxelles e alle entità che da lì governano, che non sono solo quelle della politica ma anche, e soprattutto, quelle senza volto dell’economia e della finanza. E nessuno in questi anni l’ha messo mai davvero in luce, a parte un po’ di propaganda fine a se stessa da parte di destre che occhieggiano senza dirlo espressamente a un’irrealizzabile autarchia. Il dibattito politico regionale e nazionale prosegue come se i governi locali e quello centrale avessero davvero in mano i cordoni di una borsa che invece, come si vede, stanno altrove. E le entità senza volto ma assai presenti sotto forma di schiere di lobbisti a Bruxelles sono così potenti da aver costretto a voltarsi dall’altra parte governi e sinistre europee mentre la Grecia veniva stritolata e l’Italia commissariata di fatto. Una realtà che forse è venuto il momento di guardare in faccia da parte di chi governa e ha governato questa regione. Non perché l’Umbria possa fare da sola una seria battaglia contro l’austerità; le vicende penose della sventurata Grecia hanno dimostrato come neanche un uno Stato nazionale può riuscire se non trova le alleanze. Forse però è arrivato il momento di declinare l’europeismo in maniera diversa da quella acritica ascoltata per troppo tempo dalle socialdemocrazie europee, così prese a dimostrare di essere brave esecutrici dei vincoli e delle compatibilità all’origine dei tagli che hanno peggiorato la vita di milioni di persone, che non a caso non esistono praticamente più. A meno di non voler finire nelle mani di chi l’Europa la vuole distruggere per tornare agli stati sovrani.

Foto da www.pexels.com

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