Durante l’epidemia di Covid diverse autorità nazionali e di regioni europee hanno iniziato a sperimentare forme di gratuità per incentivare l’uso del trasporto collettivo e ridare forza a un settore ridotto ai minimi termini dal lockdown e dalle esigenze di distanziamento delle persone. Dal Lussemburgo – l’intero paese è free dal 2020 – a Malta, dalla Romania alla Spagna la libera circolazione dei cittadini sui mezzi pubblici ha aiutato ad affrontare la fase più critica dell’emergenza e a testare nuovi dispositivi di politica fiscale. Biglietti economici utilizzabili su tutto il territorio nazionale sono stati introdotti per difendere i cittadini dal rialzo dei prezzi dell’energia in Austria, Estonia, Germania e Ungheria. Singole autorità locali hanno adottato misure di prezzo analoghe disponendo l’offerta di “biglietti climatici”, scontati e sovvenzionati dal pubblico, nel tentativo di convertire sempre più persone al trasporto collettivo (Barcellona, Lisbona, Vienna). Tariffe zero per i trasporti dopo Tallin, Lussemburgo e La Valletta, dal 2025 si hanno in un’altra capitale come Belgrado.
Le crisi, come noto, costringono spesso a rivedere categorie di pensiero abituali. I programmi per rendere economico il trasporto pubblico locale e ferroviario, oltre a redistribuire reddito, puntano a realizzare alcuni obiettivi collettivi di primaria importanza, basti pensare che i trasporti stradali per lo più concentrati nelle aree urbane sono responsabili del 30 per cento delle emissioni di CO2 e del consumo di quasi il 70 per cento di tutto il petrolio utilizzato nell’Unione europea.
In forme meno ambiziose, anche in Italia si è proceduto con test locali significativi seppure privi di una strategia unitaria nazionale. Gratuità per alcune categorie di utenti, come gli studenti, sono state introdotte di recente in Emilia-Romagna, Campania, Lazio, in alcune città del Piemonte (dove la libera circolazione per gli under 26 è allo studio a livello regionale), a Genova, in grandi centri del Sud come Bari, Palermo, Messina, Catania, Potenza. Anche l’Umbria ha seguito l’esempio disponendo nel 2023/2024 sconti per studenti universitari poi confermati nella stagione in corso e altre agevolazioni si hanno a scala locale, a prescindere dalla categoria di utenti (residenti Comune di Terni). Detto ai margini, si sa poco per ora dei risultati nostrani. Ogni territorio inoltre è andato per la sua strada riducendo così la forza dei provvedimenti. Resiste peraltro da noi una scarsa cultura del monitoraggio delle politiche nel tempo: tutt’altro approccio, per dire, si ha nei Paesi Bassi dove gli studenti usufruiscono in tutto il paese di treni, tram, autobus gratis, ma i beneficiari devono laurearsi entro dieci anni altrimenti dovranno restituire il denaro allo Stato.
L’esperienza pionieristica di Bologna
Aprendo una breve parentesi, l’idea di combattere l’inquinamento e aiutare i pendolari incentivando economicamente i mezzi alternativi non è nuova per l’Italia. In molti negli anni si sono misurati col rompicapo di stabilire livelli ottimali dei prezzi amministrati tenuto conto di un mercato della mobilità dominato dal trasporto privato e dinanzi al panorama controverso di autobus/tram vuoti e strade intasate di automobili. Un caso noto si ebbe nei primi anni ’70 con la giunta Zangheri che, a seguito del manifesto ecologista “Bologna non deve soffocare”, avviò una serie di misure di riorganizzazione dei servizi di trasporto, in città e nell’hinterland, che prevedeva anche la gratuità per studenti e lavoratori, in alcune fasce orarie, al fine di ridurre il traffico e i costi per la collettività. La sperimentazione durò circa tre anni e non andò avanti per assenza di supporti dal centro e per il rifiuto di far “gravare” sulla fiscalità generale i mancati incassi dell’azienda di trasporti, ma la misura segnò una delle pagine più alte di dibattito sul welfare locale, in grado di stupire ancora oggi per la carica di idee e per la spinta ad affrontare in modo innovativo il tema dei costi del trasporto e del loro sussidio.

Di lì a poco, peraltro, la prima crisi petrolifera avrebbe obbligato al blocco della circolazione privata per risparmiare milioni di litri di benzina (circa 50 al giorno) necessari a mandare avanti il Paese, dando ragione a sindaco e assessori felsinei. In tanti di noi, allora piccoli, vive il ricordo delle “domeniche a piedi” del 1973 decise dal governo Rumor e poi delle targhe alterne dell’anno successivo, come una specie di festa in cui si poteva giocare per strada e passeggiare senza rischiare di essere investiti, con i genitori finalmente disposti a farsi un giro in bici insieme. L’intero paese fermo, oltre a segnalare la serietà del momento, giustificava però la strada di ricerca intrapresa a Bologna con cui, di fatto, dopo decenni, siamo tuttora a misurarci nel tentativo di impostare su basi nuove il rapporto tra politiche dei servizi di trasporto, produzione sociale e ambiente.
Il Piano sociale per il clima europeo e la lezione americana
Per tornare ai nostri giorni il problema dei costi di mobilità è più che mai di attualità a causa di vari fattori: rialzo dei prezzi imposto dai conflitti armati, clima competitivo mondiale e di incertezza con cui l’industria sta affrontando il passaggio verso le tecnologie pulite. Tanto che l’Ue ha istituito uno strumento specifico, il Fondo sociale per il clima (dotazione iniziale di 65 miliardi di euro) per contrastare i rincari dei trasporti, con tre obiettivi: 1) facilitare investimenti green di fasce sociali e territori in ritardo; 2) fornire sostegno diretto al reddito degli utenti più vulnerabili in attesa dell’impatto degli investimenti sulla riduzione dei costi e delle emissioni: 3) parare i contraccolpi del meccanismo “chi inquina paga” (ETS2) applicato a imprese di energia e distributori di carburanti, i cui oneri ricadranno almeno in parte sugli utenti: alcuni ricercatori hanno già stimato aumenti dal 10 al 27 per cento dei prezzi alla pompa. Mentre si conosce ancora poco del Piano con cui il governo italiano vorrà impiegare le risorse assegnate per i primi anni (7 miliardi di euro), una scelta coraggiosa anche perché in controtendenza rispetto al clima politico di quel Paese è stata annunciata settimane fa dall’autorità di trasporto regionale della Merrimack Valley (MeVa) nel Massachusetts (Usa). Ai primi di febbraio il comitato consultivo di MeVa ha votato per rendere permanente il viaggio gratuito la cui sperimentazione era iniziata a marzo 2022. Un’esperienza che vale la pena osservare brevemente da vicino, anche per le analogie con altre iniziative di stati e città a “stelle e strisce” che stanno provando a rilanciare l’uso dei trasporti collettivi. Dopo le contee di Tucson in Arizona, Irvine in California, Fort Collins in Colorado, la città di Detroit in Michigan, Kansas City in Missouri, Seattle e diverse comunità dello stato di Washington, anche New York ha iniziato a testare autobus gratuiti su alcune tratte urbane dove l’auto privata è più forte e competitiva.
L’esempio del Massachussetts
Da febbraio 2025 i passeggeri delle 12 città e delle 24 tratte servite dall’autorità possono viaggiare gratis in via permanente sugli autobus pubblici e sui minibus a chiamata della regione della Merrimack Valley. Per finanziare l’operazione MeVa ha ricevuto 2,6 milioni di dollari fino a tutto l’attuale anno fiscale e, per il futuro, i trasferimenti statali dipenderanno dai flussi di finanziamento assicurati da un’addizionale del 4 per cento sul reddito imponibile oltre 1 milione di dollari (the millionaire’s tax) votata nel 2022 per referendum dal 52 per cento dei cittadini del Massachussetts proprio per finanziare istruzione, strade, servizi di mobilità. C’era comprensibile apprensione per eventuali tagli ai fondi federali destinati ai trasporti, alla luce delle recenti dichiarazioni del presidente Donald Trump e della sua amministrazione verso gli stati che non rispettano le sue richieste in materia di controllo dell’immigrazione. Ma il provvedimento ha avuto ugualmente il via libera delle autorità locali, grazie alla fiducia sugli automatismi assicurati dal prelievo fiscale (1,8 miliardi di dollari in più l’anno nelle casse dello stato). Nel prendere la decisione, i membri del consiglio MeVa e le autorità sono stati convinti per la gratuità sulla base di quanto visto negli ultimi tre anni e di un rapporto presentato prima della riunione. Lo studio, dal titolo “Fare-Free Evaluation and Business Case”, è basato su statistiche di viaggio e dati di produttività dei gestori, sondaggi presso passeggeri e autisti, soggetti di domanda come ospedali locali da cui emerge come il provvedimento favorisca la gran parte dei cittadini e, a dispetto del forte investimento iniziale, migliora anche le casse pubbliche. È importante seguire il ragionamento fatto in sede di valutazione della misura per trarvi alcune lezioni di approccio al tema.

Valutazioni complessive e impatto sui conti
Tra le conclusioni dello studio che hanno convinto a confermare la misura vi è l’elevato costo previsto, pari a 1,7 milioni di dollari, per l’installazione di nuovi dispositivi di pagamento sui bus con relative tecnologie di sicurezza e controllo. Sono poi stati considerati altri risparmi per le imprese connessi alla gratuità. Nel 2019 in effetti far pagare il Tpl era costato a MeVa, tra personale e spese dirette, 0,27 dollari per ogni dollaro riscosso dalle tariffe sui bus di linea. Le tariffe nello stesso periodo coprivano inoltre solo il 9 per cento delle spese operative dell’agenzia per il servizio, ampiamente ripagabili dal conto dei benefici in produttività connessi ai tempi ridotti di imbarco, al calo del traffico stradale e all’aumento della velocità commerciale. L’utenza dei mezzi pubblici infatti, intanto, è crescita di quasi il 60 per cento. Il programma di gratuità si è sposato a frequenze di servizio potenziate, orari estesi fino a tarda sera, corse integrative di domenica e altre misure. La crescita però si è verificata specie dove l’azienda aveva già una capacità esistente. Quindi, non c’è stato realmente alcun costo extra per trasportare più passeggeri. Il numero di utenti per chilometro di servizio è salito da 1,55 del 2019 a 1,76 del 2024, segno che i bus sono meglio utilizzati pur tenuto conto delle corse aggiuntive. In totale quasi il 30 per cento dei nuovi viaggiatori non era mai salito sugli autobus, circa 3.250 passeggeri al giorno attratti dalla nuova offerta. La metà di chi ha cominciato a usare i servizi dopo l’inizio del programma gratuito ora prende l’autobus ogni giorno e quasi il 90 per cento lo fa almeno una volta a settimana.
Il profilo sociale dell’operazione
Non servono studi avanzati in economia per capire come i prezzi alti dei combustibili colpiscano in special modo le famiglie a basso reddito e gli utenti più fragili, drenando una quota rilevante del loro reddito per l’auto. Chi vive in regioni rurali, centri satellite, periferie meno accessibili, subisce inoltre contraccolpi aumentati per le maggiori distanze da percorrere e la carenza di alternative pubbliche a prezzi abbordabili. Ancora una volta, l’indagine che ha accompagnato la decisione di MeVa permette di chiarire l’utilità sociale dell’operazione. La metà dei viaggiatori acquisiti negli ultimi anni è di origine ispanica o latina, una componente rilevante della società regionale il cui sviluppo per molti decenni è stato legato allo sfruttamento della potenza idrica del fiume, poi all’industria pesante con la sua fame di manodopera, e infine dall’impiego nel polo tecnologico e nei servizi (istruzione, sanità). Tra i nuovi utenti ci sono più donne (63 per cento) che uomini. Un passeggero MeVa su cinque guadagna meno di 10 mila dollari l’anno, quasi il 40 per cento ne guadagna meno di 25 mila. Un terzo è nato al di fuori degli Stati uniti e per la maggior parte ha unicamente il camminare come alternativa al bus: solo il 12 per cento dei passeggeri ha dichiarato di possedere un veicolo privato a disposizione e circa il 44 per cento non avrebbe fatto l’ultimo viaggio se avesse dovuto pagare un biglietto.
I benefici per le autorità e i gestori
Il programma gratuito sta contribuendo a cambiare le abitudini di vita delle persone in più modi. Quasi il 20 per cento di tutti i nuovi percorsi sugli autobus MeVa sarebbe avvenuto con un veicolo privato intasando le strade e peggiorando la fruibilità dei luoghi più frequentati delle città. Con meno ingorghi invece si alimenta un’altra economia: attività all’aperto sicure, forniture dei negozi più facili, spazi urbani sottratti alla sosta di veicoli. Nel breve, ciascun utente a seguito della misura risparmia direttamente 230 dollari per anno che può usare per altro e contribuire meglio alle spese della comunità. Potendo rinunciare alla seconda auto in famiglia, le persone possono permettersi opzioni alimentari più sane e fresche, uscire di più la sera o il fine settimana partecipando alla vita locale. Gli stessi gestori della MeVa, come detto, denotano benefici dal lato della produttività del servizio, poiché, in media, ogni passeggero si imbarca due volte più velocemente senza la necessità di pagare una tariffa. Sebbene i veicoli debbano fermarsi più spesso per la salita/ e la dscesa dei viaggiatori, altri accorgimenti adottati per le fermate ad alta utenza hanno fatto in modo che la velocità commerciale non ne risentisse troppo, consentendo ad esempio l’ingresso dalla porta posteriore. Inoltre, i conducenti sottolineano che l’eliminazione del ticket e i processi di imbarco più rapidi aiutano a ridurre le code di traffico sulle strade, oltre a smorzare i conflitti nei confronti di autisti, ausiliari e compagni di viaggio. I reclami dei passeggeri sono diminuiti di quasi la metà nell’anno in cui è stata emanata l’esenzione tariffaria e da allora sono rimasti bassi, nonostante il numero di viaggiatori sia quasi triplicato.
Ambiente e ricavi collettivi
I servizi sanitari sono tra le destinazioni più comuni per la popolazione anziana che prende i bus. La comodità di non aver bisogno di una tariffa e la maggiore frequenza degli autobus emergono dai sondaggi MeVa come fattori chiave di soddisfazione. L’analisi ha anche messo in luce altri benefici: gli anziani si sentono più indipendenti e orgogliosi di prendersi cura di sé senza dover dipendere dalla famiglia, eliminando così uno degli ostacoli all’accesso alle cure mediche. Nessuno poi è rimasto ferito sugli autobus negli ultimi anni, mentre tra il 2019 e il 2023 si sono verificati 34.700 incidenti stradali nell’area della Merrimack Valley, con quasi 11 mila feriti e morti. Il cambio di modalità come prevedibile porta un vantaggio finanziario sul lato dei minori costi sociali dei danni ai veicoli, delle lesioni e dei decessi. L’utente medio del bus MeVa, come detto, sta risparmiando 230 dollari per anno. L’eliminazione dellei tariffe consente alle persone di fare più viaggi verso negozi e luoghi di acquisto. La facilità di accesso al lavoro dei dipendenti ha portato benefici anche alle aziende, non si sa bene al momento con quale impatto sulle entrate fiscali. Quello che si sa con certezza è che da giugno 2023 a maggio 2024, il programma di tariffazione gratuita ha fatto risparmiare 545 tonnellate di CO2 all’anno dai viaggi in auto, in taxi o tramite uber o simili, pari alle emissioni di 215 veicoli in un anno.
Perché non provarci anche da noi?
Il rapporto in conclusione stima il valore monetario totale del programma gratuito. Nel 2019, l’ultimo anno completo di riscossione delle tariffe, l’autorità ha raccolto poco più di 1,5 milioni di dollari aggiornati all’inflazione. La somma corretta per il carovita di tutti i benefici del programma di esenzione ammonta a 2,02 milioni di dollari, superando di gran lunga le entrate non riscosse, anche al netto degli investimenti evitati per i sistemi di bigliettazione a bordo. I soli vantaggi in spese di manutenzione viaria risparmiate, percorribilità stradale, efficienza del servizio di linea e minori consumi privati di carburante superano abbondantemente i mancati incassi. La strada degli incentivi alla domanda sembra in certa misura percorribile, almeno temporaneamente andrebbe ipotizzata per le aree più critiche dal punto di vista sociale e dei bisogni di mobilità. Le formule attuative potrebbero essere diverse, da studiare in base agli obiettivi. Sul modello dei “biglietti climatici” europei si potrebbe pensare a sconti e abbonamenti gratuiti solo per chi formalizza la rinuncia al veicolo proprio e accetta di contribuire in questo modo agli obiettivi collettivi. Per incoraggiare l’idea di lasciare l’auto in garage si può tornare a prendere spunti dalla Bologna degli anni ’70 e ragionare su fasce di gratuità: allora si poteva viaggiare gratis fino alle 9 del mattino e poi dalle 16,30 alle 20 dei giorni feriali (gli studenti anche dalle 12 alle 15) per gli altri orari i bus restavano a pagamento seppure a prezzi ridotti. Potrebbe anche essere sufficiente istituire un biglietto a prezzo pieno (1 euro o 1,30) ma con durata giornaliera, oppure concentrarsi su alcune linee di Tpl in aree più congestionate. O ancora, sull’esempio della Provincia autonoma di Bolzano, erogare rimborsi ai lavoratori pendolari che con frequenza (almeno 120 giorni l’anno) coprono una certa distanza (minimo 18 km) per raggiungere il posto di lavoro.
Il problema dei costi iniziali della misura giustamente continua a spaventare enti locali e operatori, così come frenò in passato la sperimentazione di Bologna. Servono perciò risorse e indirizzi nazionali che aiutino il compito, e per alcuni anni pongano la politica dei prezzi tra le possibili leve per affrontare l’emergenza traffico e insieme supportare famiglie e mercato del trasporto nella transizione da compiere.
Mettere a punto una strategia che tenga conto delle esperienze in corso sarebbe una buona idea a cui pensare per il Piano sociale del clima che l’Italia dovrà presentare a giugno 2025 e che, se possibile, andrebbe accompagnato in campo fiscale da scelte in grado di finanziare operazioni ambiziose, vedi un prelievo minimo sui redditi alti come in Massachussetts (qualcosa di analogo, ispirato dall’economista Zucman, da poco è stato approvato in prima battuta dall’Assemblea nazionale francese). I soldi potrebbero essere un problema non insormontabile poi se si pensa che l’attuale politica di bilancio europeo premia tuttora il settore dei combustibili fossili con 112 miliardi di euro all’anno in sussidi pubblici. In campo nazionale, per qualche tempo basterebbe prestare al trasporto pubblico le attenzioni che ricevono da sempre altri settori di attività altrimenti fuori mercato: i soli rimborsi su accise e altri sussidi per l’autotrasporto di merci valgono in Italia 1,5 miliardi all’anno dei contribuenti. Il “biglietto per il clima” in fin dei conti sembra una buona idea per una campagna nazionale o regionale che unisca le forze economiche, sociali e della ricerca più sensibili e pronte al cambiamento.