Un ombelico
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A Nord est prevale la logica dell’ombelico

 

In questa tornata elettorale, non risparmiata dalla concreta minaccia di un astensionismo crescente che unisce il rifiuto qualificato a sottrarsi all’esercizio delle urne per povertà di proposta politica alla logica asfittica del tuttuougualismo pregiudiziale, volgendo lo sguardo al panorama locale umbro quello che colpisce è l’anomalia rappresentata da Gubbio e Gualdo. Certo, preoccuparsi delle piccole cose di provincia mentre l’Europa, sempre più essenziale e sempre più demonizzata, è stretta tra l’egemonia militare a targa Nato e un sovranismo diffuso più o meno mascherato che ne mina le basi costituenti, potrebbe risultare fuorviante. Ma vale la pena correre il rischio.

Partiamo dal dire che mentre nel resto della regione l’ostinata determinazione dei giovani reggenti di Pd e M5S è riuscita, superando mille difficoltà e ancor più numerose diffidenze reciproche, a imporre il “Patto Avanti” e con esso un’alleanza larga e programmatica aperta alle istanze e alle figure della società civile dell’area che non trova definizione se non nel riconoscersi nell’opposizione alla destra/centro, a Gubbio e Gualdo tanto il patto quanto l’avanti sono rimasti incompiuti. I due Tommaso (De Luca e Bori), che nulla hanno di santo e molto di pragmatico, si sono dovuti arrendere di fronte alla strenua resistenza messa in campo dai particolarismi molteplici dei due comuni.

L’elemento che unisce Gubbio e Gualdo, differenziandoli dalla maggioranza degli altri comuni umbri chiamati al voto, è certamente il fatto che qui le forze dell’arcipelago Pd sono riuscite a non cedere il passo all’onda travolgente della destra/centro a trazione leghista; che qui il centrosinistra, in forme più o meno ortodosse, ha continuato a governare. Dove cioè non si è ancora toccato con mano l’improvvisato sapere amministrativo incasellato in una conservatrice e “primatista” visione politica delle forze della destra/centro, il centrosinistra, un po’ come era successo anni fa nel resto del territorio con le conseguenze che sono ancora sotto gli occhi di tutti, si è perso nello sbocciare di un fiorire primaverile di candidature.

A Gualdo la frattura viene da lontano e vede protagonisti il sindaco uscente e il dimissionario ex vice sindaco. A Gubbio invece, dovendo comunque considerare la natura carsica che nasconde per far riapparire, la frantumazione manifesta è emersa al momento della presentazione delle liste. In entrambi i comuni le primarie sono state rifiutate come mezzo di possibile e inattuata ricomposizione. A Gualdo il centrodestra presenta una unica candidatura figlia di primarie risolte all’ultimo voto, il M5S stelle è assente, la scomposizione del centrosinistra è all’apparenza di natura più tecnico/amministrativa e personalistica che dovuta a divergenze di politica generale. A Gubbio invece lo storico candidato del centrodestra (Girlanda) si presenta con le liste civiche, la destra/centro unita propone una candidatura forte e nota in città, i due sembrano spartirsi le non certo residuali simpatie dei due cementieri (Barbetti e Colaiacovo). La frammentazione del campo alternativo alle destre è pressoché totale coinvolgendo tanto il centro (Nafissi) quanto la sinistra (Tognoloni e Della Porta). Anche qui i particolarismi locali sembrano prendere il sopravvento sulle logiche di politica generale, per quanto le forze portanti del Patto Avanti si presentino compatte.

Precisato che il potere fine a se stesso che unisce elementi distanti, se non inconciliabili, per semplice brama, non è certo un valore aggiunto, ma una deprecabile consuetudine che travalica tempi e confini, quello che va sottolineato è come “scazzi” e ripicche personali si mischino a questioni fondanti e nobili come quella della tutela dell’ambiente e della difesa dei più deboli. A Gubbio più che a Gualdo gli eredi del vecchio Pci l’hanno da sempre fatta da padroni, riuscendo finanche a inscenare ballottaggi tra Pd (Pds) e forze alla sinistra. Oggi quel filo di un rosso scemante, che per forza di cose portava in grembo diverse ombre, potrebbe spezzarsi e cedere il passo alla ricetta, che in molti in Umbria già conosciamo, delle destre. Quando a Terni e Perugia il sessantennale potere rosso cedette il passo al centrodestra, si era rifugiato ormai da tempo in un’autoreferenzialità che aveva finito con lo sterilizzare le istanze di progresso e di tutela per limitarsi a mera gestione dello stato delle cose in cui più nulla poteva essere discusso dal basso e in cui tutto era imposto dall’alto, stando solo attenti a non disturbare troppo le forze produttive e i centri nevralgici. Certo in particolare a Terni prima e in Regione poi c’è stata anche la dirompente azione della magistratura, ma avallare la tesi, troppo spesso ricorrente a mo’ di abusato ritornello dei notabili (rossi) di un tempo – oggi ai margini della questione, ma mai domi – che tutto andava bene e che tutto crollò per colpa di un giustizialismo populista (dei 5 stelle e non solo) che spianò la strada all’ingerenza (indebita) della magistratura, è non solo mettere la testa sotto la sabbia, ma inscenare un processo di autoassoluzione, diretta conseguenza dell’autoreferenzialità, che cancellando a colpi di spugna la realtà impedisce il cambiamento del presente e nega di fatto ogni sguardo di speranza sul futuro.

Sia a Gualdo che a Gubbio, come d’altronde nel resto dei comuni in cui si vota, quello che è in campo non è semplicemente una logica dell’alternanza, che in tanti vedono (semplicisticamente) come salvifica, ma un rapporto alto/basso potere/cittadino che ha la forza di sterilizzare/rivitalizzare l’intera collettività. Prendiamo come esempio il metodo Ferdinandi (che è una pratica collettiva partecipata, sia chiaro, e non un semplice cognome di richiamo), che potrà essere vincente o perdente, ma che di fatto stravolgendo il proprio campo di appartenenza (i progressisti in cerca di nord e finanche di bussola), ha finito con il cambiare anche il campo opposto (una destra/centro già pronta a una rinnovata spartizione figlia dei mutati equilibri interni), costretto a scimmiottare, non tanto nelle forme quanto nei proclami, il comportamento altrui. Un tornare tra la “gente” e con la “gente” che ha rimesso la Politica al centro, che ha riportato la cittadinanza a interessarsi senza più limitarsi a delegare (evidenza dell’oggi), se non ad astenersi (augurabile risultato delle urne). Tale prassi politica, così desueta da risultare aliena, è oggi possibile per i meriti personali e collettivi di chi la incarna, ma anche perché il governo del centro oggi sempre più destra, al di là dei roboanti proclami, ha continuato a scavare il solco dell’autoreferenzialità di quelli di prima improntata sulla delega assoluta e ad aumentare il divario delle possibilità tra benestanti e non, tra autoctoni e stranieri, a colpi di securitarismo urlato nei toni e improduttivo nei risultati, al punto che a Terni è risultato vincente il più strillone tra gli urlatori, quel Bandecchi macchietta nazionale con velleità di assalto a Palazzo Chigi e di approdo a Bruxelles. Una destra personalistica e padronale, che data l’impotenza del centrosinistra, ha finito con il detronizzare e scardinare quella filiera di destra/centro che si sentiva proprietaria e non servente, una breccia aperta in un sistema di potere neonato che già si voleva assoluto, che potrebbe essere viatico per detronizzazioni future che riguardano Perugia e la regione stessa.

Se il potere logora chi lo ha o chi non lo ha è questione ininfluente ed eternamente sospesa, l’importante è il rapporto tra chi lo esercita e chi lo subisce, il conflitto asimmetrico tra le due forze in campo determina la vitalità di una democrazia, più la sottrazione attiva dei dominati è efficace più la democrazia è viva, più la democrazia è viva più il dominante, suo malgrado, può sottrarsi al logorio tipico dell’assolutismo democratico (do you know premierato?). Oggi in campo questo schema contiene nella sua logica totalizzante tanto il rinnovato entusiasmo perugino dei cittadini/dominati che non vogliono più subire silenti, ma innervare di partecipazione il potere, quanto il longevo periodo eugubino/gualdese del centrosinistra/dominante giunto all’ineludibile bivio tra il logorio del tempo e una salvifica messa in discussione di se stesso e del proprio potere. Così lontani, così vicini Perugia, Gualdo e Gubbio eppur destinati a misurarsi ciascuno con le proprie miserie, più o meno consapevoli del fatto che saranno proprio i modi e i tempi di ingaggio a determinare democraticamente le proprie fortune. Senza mai dimenticare che uno non vale uno; la teoria dell’indistinto è acerrima nemica della complessità; i danni del tuttougualismo pregiudiziale si vedono solo quando si sono prodotti, quando cioè è troppo tardi. Non resta che augurare buon voto a tutti e augurarci che la politica torni a essere Politica.

Foto dal profilo Flickr di zeevveez

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