Uomo con un megafono che urla
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Sui commenti incivili che apparentemente non lo sono

 

La possibilità per lettori e lettrici di commentare in tempo reale gli articoli che vengono divulgati sui social media è stata una trasformazione che ha investito stampa e pubblico e che ha innescato una serie di conseguenze editoriali ma anche psicologiche e sociali studiate solo in parte. Di certo ha rappresentato un avvicinamento per molti versi auspicabile tra chi produce i contenuti e chi li fruisce, consentendo in alcuni casi un confronto proficuo.

I commenti costituiscono altresì anche una fonte privilegiata per capire cosa si muove nelle viscere di un pezzo di società. Beninteso: chi commenta non rappresenta altri che se stesso, ma quando la forma e la sostanza di alcuni commenti assume un qualche tipo di costante, può essere interessante analizzarli anche dal punto di vista sociale. L’abbiamo già fatto in passato. Più recentemente, in occasione di un pezzo sulla questione maschile, è capitato che ci venisse addebitata la mancata considerazione del fatto che anche le donne sono capaci di uccidere. È stata una cosa che ci ha colpito per la grossolanità che conteneva nella sostanza e per la forma in cui è stata esposta, e anche perché veniva condivisa da più d’uno. Per questo abbiamo deciso di isolarla ed esporla. Anzi: eccola.

L’ultimo articolo pubblicato sul restauro delle scalette della Canapina, a Perugia, ci offre un ulteriore spunto poiché al di là della sua estrema contestualizzazione geografica contiene significanti generali. L’articolo è una critica a come è stata portata a termine la riqualificazione delle scale, che non ha tenuto conto del fatto che in quello scorcio di Perugia – dove s’incrociano Medioevo ed età etrusca della città – la riqualificazione poteva costituire un’occasione per abbattere la barriera architettonica che inibisce a persone con disabilità e genitori con passeggini di fruire la zona. Non è solo una questione di bontà d’animo – questo era il senso dell’articolo – ma di civiltà, di come il pubblico pensa se stesso e delle opportunità che offre. Si tratta insomma di una questione che tiene insieme tre categorie apparentemente distanti, bellezza, etica e spirito pubblico. La tesi di fondo è che bellezza ed etica, nelle cose pubbliche, vanno a braccetto. Né la prima né la seconda sono un lusso, bensì dovrebbero essere stella polare dell’azione pubblica.

A fronte di tutto questo, l’articolo è stato criticato perché secondo molti rappresenterebbe una «polemica sterile» su una «bella realizzazione» da parte dei «soliti che devono essere sempre contro tutto». O perché ci sarebbero alternative vicine come le scale mobili, come se le scale mobili fossero un’alternativa per chi è costretto a stare su una carrozzina, o come se dall’interno delle scale mobili si potesse ammirare l’incrocio di Medioevo e città etrusca. C’è stato anche chi ha sostenuto che per eliminare una barriera architettonica in un’area del genere si sarebbe dovuta «buttare giù una collina». Nessuno di noi è ingegnere né architetto, ma chi ha espresso questa critica si qualifica su facebook come «creator digitale».

Abbiamo cancellato nomi e facce di chi ha espresso queste critiche poiché a differenza di chi ci invitò ad «andare a cagare» e andava messo di fronte alle sue responsabilità in occasione dell’articolo sulla questione maschile, le critiche stavolta sono rimaste in un ambito di decenza. Il che però non cancella il tratto della inciviltà che esse contengono per una serie di ragioni. Eccole.

1) A fronte della mancata piena comprensione di ciò che si legge (l’abbiamo riassunto anche a rischio di essere didascalici e ridondanti qualche riga sopra), non si esita a commentare in maniera lapidaria. Quanto meno si comprende, tanto più si è lapidari. È il primo passo verso il baratro dell’inciviltà, perché da qui in poi – da quando cioè si comincia ad andare fuori tema – si può dire di tutto e ciò non porta da nessuna parte. Anzi.

2) Alcune delle critiche sono un invito a non criticare tout court. A tenere la bocca chiusa. A chi è convinto di ciò vale la pena di segnalare che senza lo spirito critico, di disobbedienza e di ricerca del meglio che ci ha portato a uscirne, oggi staremmo ancora dentro le caverne.

3) A tutto ciò è sottesa un’idea di pubblico che non riesce ad andare al di là del proprio naso. Io cammino sulle mie gambe, chi non può prenda le scale mobili. Non ci si pone neanche il dubbio che le scale mobili siano impraticabili per chi usa la carrozzina, e non ponendosi quel dubbio si commenta con sicumera. Non si è sfiorati dall’idea che il pubblico debba essere di tutti, anche dei più deboli, come si legge nell’articolo oggetto delle critiche.

Questi elementi combinati insieme disegnano la cornice di inciviltà che è il brodo primordiale in cui è immerso il dibattito pubblico, alimentato dalla superficialità immonda dei talk show che si riverbera amplificata nelle bolle social. Lo sono tanto più perché esposti apparentemente in maniera civile, ancorché siano intimamente incivili, come abbiamo tentato di dimostrare, anche al di là delle stesse intenzioni degli estensori dei commenti. È l’abitudine al peggio che lo rende commestibile e normale. Come quei commenti, che costituiscono un pezzo del peggio, commestibile e normale.

Foto da peexels.com

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