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La società che capovolge la politica

 

Venerdì 10 marzo c’è stato un evento la cui importanza va al di là di chi l’ha organizzato e dell’oggetto che ha riguardato poiché il suo valore forse ancora più alto del successo che ha riscontrato sta nel testimoniare da un lato la connessione dell’Umbria a processi che segnano il mutare della scena pubblica un po’ in tutto l’Occidente, dall’altro alcune criticità aperte non solo a livello locale.

Il fatto in sé è che il comitato “Sciogliamo il Nodo”, realtà di cui fanno parte 26 associazioni e che si batte contro la realizzazione del cosiddetto Nodo di Perugia, ha organizzato un’assemblea aperta alla cittadinanza in cui per la prima volta è stato presentato pubblicamente il progetto definitivo per la prima metà dell’infrastruttura, il cosiddetto Nodino. Cronache Umbre ha pubblicato numerosi articoli in cui si evidenziano le criticità dell’opera, la sua inutilità e le conseguenti contraddizioni di chi ne persegue la realizzazione. Ma la questione aperta dall’assemblea-presentazione del 10 marzo precede tutto questo, essendo di metodo, e squaderna una realtà che va in qualche modo fissata, anche solo schematicamente, per punti.

1) Si è visto all’opera un pezzo di comunità che si costituisce in intelligenza collettiva. Nel corso dell’assemblea-presentazione sono stati illustrati i punti salienti del progetto e l’impatto che esso avrà sulle due zone protette in cui transiterà, il Bosco di Collestrada e l’Ansa degli Ornari; sono stati analizzati i flussi di traffico che determinano la sostanziale inutilità dell’opera (del costo di 450 milioni) e le possibili alternative (assai meno costose). Il tutto è stato acquisito mediante le relazioni di ingegneri, esperti di paesaggio e semplici cittadini che hanno studiato il progetto e che da anni studiano e propongono soluzioni.

2) Si è prodotto un esercizio di democrazia avanzata. E qui occorre intendersi. Perché si può ovviamente essere democratici ma avere un’idea minima dell’assetto democratico, che coincide sostanzialmente con il momento elettorale mediante il quale i cittadini delegano il potere e se ne tornano a casa per poi essere chiamati a rifare capolino cinque anni dopo. Ma si può avere un’idea della democrazia più avanzata, come processo. Un’idea secondo la quale le elezioni non cristallizzano il tempo a favore del potere, in cui entrano in gioco competenze e interessi diffusi, e nell’ambito della quale i delegati e le delegate alla gestione del potere non sono gli unici attori e attrici in campo e non si comportano come sovrani (ancorché eletti), ma sono soggetti sempre e comunque a una dialettica volta all’individuazione dell’interesse comune che non si archivia il giorno dopo le elezioni, ma accompagna la vita delle istituzioni, anzi la innerva, la ispira. In questo secondo caso, si sposta l’asticella un po’ più in là, in primis perché ai rappresentanti non si chiede semplicemente di gestire il potere e di disporre, bensì di esercitare le proprie funzioni e tradurre in atti il frutto della dialettica; in secondo luogo perché per poter dire la propria con cognizione di causa la cittadinanza si fa consapevole, si trasforma in intelligenza collettiva e cooperativa, appunto. E questo si traduce in innalzamento del capitale sociale di una comunità.

3) Si è assistito come in un vero e proprio caso di scuola a un ruolo di supplenza da parte di un pezzo di società nei confronti del vuoto lasciato dalla politica istituzionale. Del costo dell’opera si è già detto. I lavori per realizzazioni del genere durano in media 14 anni e prevedono inevitabili disagi per un’ampia porzione di territorio. Sarebbe interesse del potere pubblico farsi carico di presentare pubblicamente una cosa del genere, indicandone alla popolazione gli eventuali benefici e le criticità da sopportare. Ma non è successo. O comunque, se lo si farà, si arriverà in ritardo rispetto a un comitato. E in questo caso c’è anche un’aggravante, se possibile, poiché per la realizzazione dell’opera si dovrebbe preventivamente procedere all’esproprio di più di un centinaio di proprietà. Sarebbe ancora più urgente, da parte dell’istituzione pubblica preposta alla realizzazione dell’opera (la Regione, magari di concerto con l’Anas), presentarne i presunti benefici così da tentare di convincere un pezzo di popolazione che potrebbe sentirsi penalizzata. Ma, si diceva, non è successo.

Insomma, questa storia ci fornisce in un colpo solo un bel po’ di indicazioni. C’è stato un capovolgimento di rapporti tra politica e società negli ultimi trenta-quarant’anni che è fondamentale per capire l’oggi. Se nel novecento era la politica che mediante l’ideologia plasmava persone e comportamenti, ora è la società che attraverso associazioni, gruppi e imprese innovative produce idee e valori che vanno a costituire un immaginario sociale. Si tratta di un’acquisizione talmente solida presso intellettuali e accademici che, solo per fare due degli ultimi esempi in ordine cronologico, Ambrogio Santambrogio, docente di Sociologia presso l’Università degli Studi di Perugia, ci ha fondato una delle sue ultime pubblicazioni, “Idee per una sinistra europea” (Mondadori Università), e Marco Damiani, professore associato di Sociologia politica presso lo stesso ateneo, la utilizza per spiegare il fenomeno della sinistra populista nel suo ultimo lavoro “Sinistra senza classi” (Mondadori Università). La criticità sta nel fatto che di questo nuovo rapporto, dato per scontato da chi studia la realtà e reso pratica quotidiana da decine di organizzazioni sociali in decine di settori, il mondo della politica istituzionale fa una fatica infernale a prendere contezza, e questo fa già danni di per sé, producendo un’autoreferenzialità che condanna la politica e le istituzioni a una progressiva delegittimazione. Ma non c’è solo questo. Un pezzo piuttosto consistente di politica istituzionale vede addirittura come una minaccia l’affacciarsi di queste intelligenze collettive, invece che come linfa in grado di nutrire un tessuto democratico raggrinzito. Si tratta con tutta evidenza di una politica istituzionale sclerotizzata, centrata esclusivamente su di sé; fuori tempo, si direbbe, dal momento che procede come se gli ultimi trenta-quarant’anni non fossero trascorsi. È una politica inerziale, che continua a prendere la scena perché certi meccanismi non cambiano da un giorno all’altro, anche se le cose stanno già cambiando, come dimostra il successo di pubblico dell’assemblea del 10 marzo e il fatto che i pochi esponenti della politica istituzionale presenti (nessuno della Regione, ndr), per una volta sono stati dalla parte del pubblico, in ascolto. Mentre parlava l’intelligenza collettiva.

Foto di Magdalena Roeseler da wikimedia commons

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