Una scimmia con l'elmetto
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La guerra, chi la scimmiotta e una proposta indecente

 

L’esplosione della guerra in Ucraina mi ha provocato un disagio e fatto commettere una viltà. Il disagio è dato dal fatto di non ritrovarmi in questo generalizzato schierarsi con estrema risolutezza di qua o di là (per l’invio di armi agli ucraini oppure no, per la capitolazione di Putin o per una soluzione diplomatica del conflitto, nell’addebitare le responsabilità della situazione all’espansionismo della Nato o alla volontà neoimperiale di Mosca o al nazionalismo ucraino e/o russo nel Donbass). Non avendo le idee chiare, o meglio, ritenendo che ognuna di queste componenti giochi il suo ruolo in questa pessima situazione, mi sono crogiolato nei dubbi. E i dubbi, in questa società della performance, non vanno esposti; qui sta la viltà: nell’aver assecondato il principio della performance, e quindi nell’averlo intimamente accettato; e poi nel timore che questo non posizionarsi, questa semina di dubbi, non avrebbe riscontrato successo e anzi avrebbe dato la stura a critiche urlate.

Poi mi sono imbattuto in questo post su facebook di Patrizia Tabacchini, e mi ci sono riconosciuto abbastanza. E visto l’effetto positivo che mi ha suscitato lo specchiarmi finalmente in una posizione non ortodossa, mi sono detto che poteva avere qualche utilità manifestare a mia volta una mancata ortodossia in cui qualcun altro a sua volta potrebbe trovare per un attimo un balsamo rigenerante

Ho capito cioè che il mio disagio e quello di tutti coloro che lo covano e che la guerra l’hanno sempre schifata per davvero è una risorsa. E che il vicolo cieco è semmai l’assecondare la performance schierandosi di qua o di là in maniera sempre più urlata e offensiva, e così facendo portandoci in casa nostra la logica della guerra che viene dall’est.

Viviamo da tempo in una polarizzazione infinita, tanto rumorosa quanto superficiale poiché non ci polarizziamo sul sistema, bensì all’interno di esso (siamo riusciti a fare scontri di piazza sul green pass, e la tragicità della situazione odierna si sta incaricando di mostrare ex post quanto fosse grottesca quella battaglia). E questo giova al sistema stesso, che succhia energie per auto-alimentarsi. La polarizzazione urlata fa salire gli indici d’ascolto dei talk show televisivi, ed è quindi legata alla loro sopravvivenza, che si misura nella capacità di procacciarsi pubblicità; e fa bene ai meccanismi dei social media, all’interno dei quali si moltiplicano post e commenti che conducono a una meta: rimanere per tempi lunghi dentro l’algoritmo regalandogli pezzi delle nostre esistenze.

La polarizzazione urlata, superficiale e di sistema, è anche discendente diretta di un dibattito politico che da decenni ha sostituito la profondità e il conflitto con l’urlo a sua volta acquiescente (tanto di qua quanto di là) al sistema.

Così, come serpenti guidati dal pifferaio, ci polarizziamo a nostra volta, siamo indotti a costruirci un’opinione ancora prima di conoscere i fatti per poi mostrarla, preferibilmente sotto forma di performance urlata.

Invece lo scetticismo, in questa situazione dannata come in altre, è un valore in sé, occorre scandirlo. Spinge a cercare ragioni per sperimentare soluzioni, invece che a dire la propria come se non esistesse un domani.

Però crogiolarsi nei dubbi mentre c’è gente che prova a vivere e muore sotto le bombe non può andare a lungo. Cosa può fare allora chi la guerra la schifa da sempre, chi accoglierebbe tutte le persone (t u t t e) esattamente come si sta facendo mirabilmente con i profughi dall’Ucraina? Una cosa si potrebbe fare, ed è troppo grande perché l’iniziativa parta da un giornale regionale come questo. Ma, anche in questo caso, vale la pena esternarla. Partire in massa da Siracusa e da Lisbona, da Edimburgo e Dublino, da Oslo e da Stoccolma e Atene, e caricare durante il percorso su treni, bus e qualsiasi altro mezzo la quantità maggiore di persone che si sentano di compiere il tragitto fino almeno alla frontiera ovest dell’Ucraina. Far sentire lì il peso dei corpi vivi e delle voci delle persone che non hanno altro che se stesse e che odiano le armi; invitare alla diserzione, proteggere chi la pratica, chiamarlo a noi. Si potrebbe fare, gli zapatisti l’hanno fatto per tremila chilometri, dalla Selva Lacandona fino a Città del Messico. E per rendere la proposta ancora più indecente, perché fatta da una persona che crede nella laicità, l’infrastruttura per questa forma di resistenza potrebbero fornirla i tanti parroci che stanno con papa Francesco, che sono l’unica parte con organizzazione e motivazioni serie in mezzo a una manica di urlatori da talk show.

Foto di Artur Shihman da pixabay.com

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