Leonardo Latini, sindaco di Terni
Temi

Il sindaco di Terni e lo sguardo distorto, e furbo, sulla prostituzione

 

La polemica intorno all’ordinanza del sindaco di Terni che vieta «di porre in essere comportamenti indecorosi diretti a offrire prestazioni sessuali» e di «mantenere abbigliamento indecoroso o mostrare nudità» sta prendendo una piega distorta perché perde di vista le premesse.

Le critiche si sono concentrate sulla categoria della «indecorosità» dell’abbigliamento introdotta dall’ordinanza. Chi decide qual è un abbigliamento indecoroso?, si è chiesto più di qualcuno. E di qui si è passati, ben oltre i confini della città e anche su profili social di persone con una qualche popolarità, a denunciare il fatto che il sindaco di Terni vieterebbe «scollature e minigonne». Non è così. Semplicemente perché nell’ordinanza di Latini non c’è alcun riferimento a minigonne e scollature. La critica, pare di capire, che i detrattori della prima ora hanno mosso al sindaco è quella di adottare un punto di vista prettamente maschile nel contrasto al fenomeno della prostituzione, vista come peccato femminile, di donne che si abbigliano indecorosamente per adescare. E in effetti l’impianto dell’ordinanza questa idea la accende. Ma il riferimento a scollature e minigonne è una semplificazione fuorviante.

Sta di fatto che il sindaco ha inteso di doversi difendere dalle accuse, e intervistato dal Tgr della Rai ha spiegato testualmente che l’ordinanza «va letta in un contesto più ampio di lotta alla criminalità. Va inquadrata in una azione più ampia che si sta facendo con le associazioni perché è chiaro che qui ci sono delle vittime che vanno tutelate».

La testata on line TerniToday, attraverso un editoriale del suo direttore, Nicola Bossi, aderisce alla causa e traduce gli obiettivi di Latini, che sarebbero quelli di «togliere soldi alla criminalità, garantire una sicurezza stradale e di certe aree in particolare. Lo sfruttamento della prostituzione – si legge ancora nell’articolo – è un crimine vergognoso che deve essere combattuto dalle amministrazioni comunali e dalle forze dell’ordine. Alimenta con i proventi l’acquisto di droga e altri business gestiti da clan e dalle mafie di casa nostra».

Il problema è che nel dispositivo dell’ordinanza ci sono otto considerazioni preliminari per giustificare i divieti: in nessuna di queste c’è il minimo riferimento alla necessità di proteggere e tutelare le vittime della tratta delle donne o a quella di combattere i clan che le sfruttano. Si parla di pregiudizio al decoro, di sicurezza violata, più e più volte di disagio dei cittadini, del nocumento per la morale pubblica, perfino del fastidio che deriva ai residenti dalle «portiere delle auto chiuse con forza» e da «brusche frenate e ripartenze». Mai una volta però si citano le vittime della prostituzione, cioè le decine di ragazze violate e costrette a prostituirsi; mai una volta si vagheggia, anche solo pro forma, della necessità di combattere i clan, cioè il vero cancro.

Perché succede? Perché la compilazione dell’ordinanza di Terni e di quelle nel resto d’Italia dalle quali è ricalcata è fatta da un punto di vista ben preciso: quello dei residenti, che detto per inciso sono pure elettori. Beninteso: si tratta di tutte istanze legittime. Ma parziali. Tanto parziali che il sindaco è costretto a emendarle invitando a inquadrare l’ordinanza in un «contesto più ampio». Cosa che assomiglia tanto a una trovata per disimpegnarsi dall’imbarazzo delle critiche, quasi una furbata. Perché il contesto più ampio eviterebbe la criminalizzazione delle prostitute, che è il vero sottotesto dell’ordinanza; favorirebbe politiche d’accoglienza e l’istituzione e il finanziamento di luoghi protetti cui le vittime potessero fare riferimento per uscire dalla tratta, punterebbe alla collaborazione autentica e non solo annunciata con chi il fenomeno lo conosce e saprebbe provare a combatterlo. Anni fa il Comune di Perugia decise di costituirsi parte civile nei processi per reati di spaccio commessi all’interno del suo territorio. Una cosa simile potrebbe essere pensata nei confronti degli imputati in processi per sfruttamento della prostituzione. Questo sarebbe il contesto. Che però a Terni è inesistente, perché di politiche del genere non c’è traccia. E così la prostituzione la si combatte proteggendo il decoro della valle dove sono costrette a rotolare le vittime, non a monte, dove pascolano gli sfruttatori.

Foto dalla pagina wikipedia di Leonardo Latini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *