Un buco nero
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La tirannia del peggio

 

Giorni fa il deputato tifernate del Pd Walter Verini ha messo in fila una serie di grossolanità commesse da esponenti della destra regionale in un intervento pubblicato dal sito Umbria 24. Pochi giorni prima c’era stato il caso dell’assessora perugina che all’indomani dell’attacco dei pasdaran trumpiani al Campidoglio statunitense aveva pubblicato sui social un suo selfie in cui era vestita da sciamana, in quella che i più hanno interpretato come una emulazione dell’italo-americano Jake Angeli, immortalato a sua volta in abiti da sciamano in quelle ore drammatiche. Verini è partito da lì, e poi ha parlato del consigliere comunale di Orvieto che aveva auspicato, sempre via social, un assalto al ministero dell’Istruzione sull’esempio di quello di Washington; della consigliera comunale di Spoleto che aveva utilizzato in aula il termine down in senso dispregiativo; e di un altro consigliere municipale di Perugia che aveva scritto scritto di sé, tempo fa: «Sono razzista e me ne vanto».

Si tratterebbe di amenità puerili che i bambini sono peraltro prontissimi a correggere, se gliele si fa notare, e delle quali non sarebbe neanche il caso di parlare se a compierle non fossero invece persone adulte nonché esponenti istituzionali; nel qual caso diventano enormità che dovrebbero interrogare istituzioni ed elettorato. Che è quello che Verini ha tentato di fare.

Umbria 24 ha successivamente pubblicato il post con il link all’intervento del parlamentare, e tra i commenti che vi si possono leggere ce n’è uno in cui è scritto: «La sinistra ha fiancheggiato per anni ex brigatisti con le mani sporche di sangue. Ora discettano di selfie, di San Francesco e delle “destre”…chi non ve conosce!».

Commento di Virginio Caparvi a un articolo di Verini

Queste, a differenza dell’infantilismo che trasuda dai travestimenti da sciamano e dall’utilizzo della parola down come epiteto, sono parole che possono provenire solo da un adulto. Attirano perciò l’attenzione. Se poi l’adulto in questione di mestiere fa il segretario della Lega in Umbria e guadagna 12 mila euro di soldi pubblici in cambio dell’attività di deputato, allora vale la pena soffermarcisi, poiché la questione diventa eminentemente pubblica. E poi perché Virginio Caparvi, l’autore di quella frase, ha il merito di aver riassunto in quelle poche parole la tirannia del peggio che rischia di logorarci e trascinarci a fondo.

Ha la forza di attrazione di un buco nero, è una vessazione muta e invisibile, quella del peggio, apparentemente innocua e per questo perversa. Si sostanzia nel farsi scudo con le meschinità degli altri quando si viene inchiodati a una propria responsabilità. È l’apoteosi del bambinismo, come quando a scuola la maestra ci rimproverava perché stavamo disturbando e per difenderci additavamo il compagno che stava facendo più casino di noi. Una pratica che intorno alla terza elementare viene dismessa, e che invece nel dibattito pubblico è sempre più spesso l’arma contundente agitata da eleganti signori in giacca e cravatta.

Il bambinismo non è un appannaggio esclusivo della destra. Anzi. Nei giorni scorsi, nell’aula del Senato, Alessandra Lonardo, accusata di trasformismo da Giorgia Meloni per essere andata in soccorso del governo Conte, si è difesa ricordando come Meloni, a sua volta, è stata ministra grazie al voto di fiducia di Scilipoti, voltagabbana dell’Idv, al governo Berlusconi. Dal Parlamento ai social, è un attimo: sono così fioriti post anche seriosi di difensori del governo Conte che ricordano come le destre in un passato recente abbiano votato in aula un documento che attestava che Ruby era la nipote di Mubarak. È un continuo: l’ultimo caso di tirannia del peggio si è avuto dalle nostre parti quando il direttore del Corriere dell’Umbria, contestualmente alla notizia di un’indagine aperta sul candidato del centrosinistra alle ultime elezioni regionali, ha scritto sul suo profilo twitter: «Se avessimo dato retta a Pd e M5S oggi gli umbri avrebbero un presidente di Regione indagato con un’accusa infamante: aver speculato sulla ferita più profonda di questo territorio, il terremoto». Gli è stato ribattuto che la presidente delle Lega in carica ha lasciato il comune di cui è stata sindaca con un buco di diversi milioni. Di peggio in peggio.

Quello che accomuna queste posizioni è il tentativo di svincolarsi dal merito delle questioni che si stanno discutendo. Ci si sottrae non argomentando la bontà della propria posizione bensì facendo leva sulle debolezze altrui. Si tratta di una pratica che vista dalla parte di chi si difende è un’ammissione di colpevolezza: non si mette in discussione il merito dell’accusa, ma il soggetto che la formula. Vista da quella di chi attacca è invece un tentativo di inchiodare il dibattito in una sorta di presente eterno in cui il passato svanisce sotto i colpi delle notizie h24. Anche se si è fatto pure di peggio, si confida nelle dimenticanze del pubblico sommerso dal fatuo quotidiano.

Eccola, la tirannia del peggio, che forse è anche la tirannia dei peggiori, quelli che dettano l’agenda del dibattito pubblico.

Sarebbe inutile occuparsi di un fenomeno tanto ottuso se esso non rappresentasse purtroppo una delle piaghe più profonde del nostro tempo, perché essendo di metodo è quella che forse più di tutte preclude i tentativi di cicatrizzazione delle altre. Se ne esce solo con lo sganciamento dalla calamita del presente eterno e l’espulsione dai nostri orizzonti del personale politico che ci sguazza e vorrebbe costringere pure noi a viverci. E con un’assunzione di responsabilità: se tu sei peggio di me, io non posso sentirmi assolto.

Foto di moritz320 da pixabay.com

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