Con Guarda, io sono nato lì di Mauro Monella l’editore Francesco Tozzuolo continua la benemerita attività a favore della conoscenza di Perugia. Numerosi sarebbero i titoli da ricordare ai quali si aggiunge ora il testo di Monella. Leggendolo ci si confronta con un sentimento che si chiama Perugia. Non si deve però pensare ai buoni sentimenti provati verso la propria città, Guarda, io sono nato lì è un testo su Perugia come un sentimento, un invito a far transitare i pensieri che la riguardano dalle parti del cuore e, riscaldati, farli arrivare alla mente. Consentendogli così di diventare la forza della ragione in grado di sentire e far proprio la passione scritta sulla Fontana, che aleggia alla Fiera dei morti, nell’Arco etrusco, tra le pieghe del dialetto, nei sapori del cibo, nella “tramontanina”, nei selciati dei bei vicoli perugini, nelle lame azzurre del cielo che filtrano dalle linee sghembe e grifagne delle grondaie degli stretti bellissimi vicoli perugini.
Ciò che ha fatto e fa Mauro è quello di andare a piedi per la sua città sia materialmente sia con la mente. Un andare che può essere pericoloso perché si rischia di aderire troppo a quello che si vede e si sente. Allora per tenere nei confronti di Perugia quella che psicologi e psichiatri chiamano la “giusta distanza” necessaria per osservare e ascoltare senza essere sovrastati da trasporto e pregiudizi ha scelto il dito di una persona anziana che indica da distante a un bambino dicendo Io sono nato lì. Perché le città hanno una loro psicologia come aveva ben intuito Lello Rossi, e solo tenendo da esse la giusta distanza psicologica si può stabilire con loro quel rapporto sentimentale che permette di essere adeguati senza lo scudo di “filtri accademici” e di un freddo linguaggio infarcito di tecnicismi riuscendo a immedesimarsi in esse, pensare i loro pensieri, regalargli azioni e parole giuste accompagnate da gesti e sguardi adeguati.
Da cui deriva l’attenzione all’uso di certe parole che a forza di dirle sono diventate una specie di intercalare. Come, per esempio, identità e radici, talmente abusate da rischiare di diventare tossiche. Riferendomi a una comunità di persone preferisco parlare di legami. Lasciano più liberi, non fissano a un luogo, si è liberi di reciderli, o di renderli più saldi. E se si vuol usare una metafora arborea più che alle radici di un albero conficcato nel terreno che ci rende tutte e tutti uguali conviene pensare a un grande bosco da cui dei semi sono volati lontano portando con sé comunque qualcosa di quello che si è mentre altri sono arrivati da lontano attraversando in fuga confini o per libera scelta, trovando in questo bosco un terreno dove vivere e crescere. Insomma bisogna tener conto che una città è un organismo vivo, in continua modificazione dove più che viverci bisogna convivere instaurando legami con ciò che contiene; con chi ci abita; con chi ci ha abitato, ci abiterà e ci nascerà riconoscendo diritto di cittadinanza a tutte e tutti, compresi i cittadini temporanei: studenti fuori sede, turisti. Il che vuol dire uguaglianza nel civismo una frase che a sua volta significa comunità, coesistenza, cittadinanza, civiltà.
Uguaglianza e civismo esprimono concetti bellissimi e densi. Invitano ad avere coscienza dei propri diritti e delle proprie responsabilità nei confronti della collettività; sollecitano a non essere concentrati solo su sé stessi, a far prevalere il noi, a sentire il bisogno d’essere vicini agli altri. Un noi che in una città come Perugia, prima etrusca e poi medievale, per il modo in cui è stata voluta e vissuta comprende anche i durevoli segni lasciati nel tempo dalle generazioni che in essa si sono succedute invitando a pensare che la divisione dei romani fra l’urbs (la città delle pietre) e la civitas (la città degli uomini e delle donne) è troppo schematica, che l’una entra nell’altra facendo entrambe parte del suo essere. Un’essenza comune che ritroviamo sintetizzata nell’articolo 9 della nostra Costituzione che credo rimanga l’unico sul nostro patrimonio storico e artistico presente con tale determinazione tra gli articoli fondamentali di una Costituzione.
Calvino ne Le città invisibili ha scritto che anche le città più infelici hanno angoli felici. Perugia non è una città infelice ma ha angoli infelici e Mauro di questi angoli infelici o da rendere più felici ne ha individuati tanti scrivendo negli anni di essi raccogliendoli in buona parte in questo libro. Una specie di abecedario civico che capitolo dopo capitolo invita cittadine e cittadini, amministratrici e amministratori a prendersi cura di Perugia evitandole di banalizzarla facendole perdere le sue peculiarità scivolando sempre più nel provincialismo per farla essere quello che dovrebbe essere: una colta sentimentale città di provincia attenta ai particolari che contribuiscono a farla essere tale.
In definitiva il personale andare di Monella per la città seguendo tracce di selciati, ricordi, pensieri, dettagli, indicazioni non è un vagare tra la Perugia com’era ma un giusto e simbolico esempio di gestione della città dal punto di vista storico, artistico, etico, politico sociale. Guarda, io sono nato lì ci dice che ogni luogo di Perugia ha una storia da dire che è un po’ anche la nostra. Una storia fatta di pietre, riflessioni, legami e memoria da non confinare nel rimpianto ma da considerare generatori di senso in grado di trasmettere un sentimento personale e condiviso di uguaglianza, cittadinanza, serenità, conforto civile al servizio di una comunità dove un invito a guardare la propria città e ogni suo angolo dovrebbe essere accompagnato da un ricordiamo e da un desideriamo perché, come scrive il poeta Pierluigi Cappello, “fra l’ultima parola detta / e la prima nuova da dire / è lì che abitiamo”.