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La sindrome di Carletto (II parte)

 

L’uomo che non deve chiedere nulla perché tutto ha; l’uomo che crede di potersi permettere tutto perché nulla può essergli negato; l’uomo che ha fatto del successo una ragione di vita e del moltiplicarsi del denaro la ragione più evidente del suo indiscusso successo; l’uomo che non ha peli sulla lingua e che usa la lingua (italiana) come una clava pur giurando e spergiurando di avere le doti per trasformarla in fioretto; l’uomo che ‘sta mano po esse fero e (non vole) esse piuma; il maschio che guarda il culo delle donne senza fischiare loro (alla donna e al culo ovviamente) dietro, ma che ce prova perché suo unico obiettivo è trombare; il presidente che sputa agli ultras mentre un’intera dirigenza sportiva fatica a trattenerlo; l’uomo che difende il suo rolex con lo sguardo che ha il potere di inibire la canna di una pistola puntata in faccia; l’uomo che fa del cazzottare divertimento quotidiano e minaccia ricorrente; l’uomo dell’università privata che ha reso emeriti dottori politici che fanno del merito discrimine e della meritocrazia teologia familiare; l’uomo dello stadio/clinica pronto a trasformare in oro la passione per la squadra cittadina e la precarietà della salute unendole in un unico blocco di cemento dove la corsia si alterna alla tribuna e la sala operatoria alla curva; l’uomo reso cittadino onorario per indiscussi meriti civili dall’intero arco politico unanime e genuflesso al tempo delle restrizioni pandemiche verso la bontà del munifico benefattore; l’imprenditore/finanziatore della politica senza stare troppo a guardare il campo, pur avendo delle chiare preferenze di campo; l’uomo che non chiede perché vuole e che quando non raccoglie il voluto allora sì che si arrabbia, allora sì che scende in campo; la scheggia impazzita che ha mandato in tilt la vita politica di una cittadina sempre più sull’orlo del collasso che ha pensato bene di indicarlo come male assoluto e non come spia più evidente di uno sfacelo che riguarda tutti, nessuno escluso; l’uomo, il maschio, il presidente, l’imprenditore, la scheggia impazzita in lotta contro il mondo intero tranne che con se stesso e con chi suo malgrado è più potente, più ricco, più di successo di lui.

Bandecchi (Carletto in questa breve storia/farsa giunta alla seconda puntata, la prima la potete leggere qui) e la sua opposizione in consiglio comunale (Corrado Mantoni) impegnati nella recita, dalla consapevolezza asimmetrica e dall’interpretazione differenziata, del peggior cinema trash, non finiscono mai di stupire. Lui perché si sente stretto nel ruolo di primo cittadino, loro perché si sentono usurpati del ruolo di primo cittadino. E così mentre il primo preferisce fare Bandecchi anche quando è sindaco, i secondi, ancora traumatizzati – anche se giurano di aver elaborato un lutto che solo oggi riconoscono di aver avuto – non trovano altro che seguire il suo copione scandalizzandosi in maniera compita e crescente di fronte alla sgrammaticatura ora misogina, ora scurrile delle sue esternazioni. Con il chiaro risultato di lasciarlo dove lui vuole stare, al centro di una scena che vuole tutta per sé, una scena che non può limitarsi al desolante andante di una città in crisi identitaria, ma che punta a quel livello nazionale a cui non ha mai nascosto di ambire. Ed è così che fedele al suo credo (credere, farsi obbedire, combattere), riesce con lodevole continuità a ritagliarsi spazio notevole sulle prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali avendo sempre quella riserva dorata rappresentata da un Crozza che nulla deve aggiungere e nulla deve togliere per farsi caricatura.

La tecnica rozza, come i mezzi spiccioli adoperati, riesce a conseguire i risultati voluti, una visibilità ad ampio raggio in grado di fare rumore, una sorta di Vannacci dalla marzialità più tera tera, una visibilità e un rumore puntati sulle tempie di chi, come avvenuto a Terni, crede di avere le poltrone di sindaco di Perugia e governatore della Regione in tasca. Due obiettivi intermedi per il famelico parà che punta senza mezzi termini a sostituire la Meloni e che strizza volentieri l’occhio a un posto in quel di Bruxelles. Insomma l’unico ad avere le idee maledettamente chiare e dichiarate sembra essere lui. Gli altri faticano, anche se qualcosa sembrerebbe muoversi in quel campo né largo né giusto ma più semplicemente in divenire rappresentato dal variegato mondo progressista, incapace di autodefinirsi di sinistra. Il Patto Avanti, i cui contorni risultano essere ancora fumosi soprattutto perché la varietà dei sottoscrittori invece di arricchire rischia di comprimere i contenuti di quella piattaforma politica che si vuole alternativa credibile al mal governo della destra (che non si vergogna nel definirsi tale), ha avuto il merito di aprirsi, almeno formalmente, alla partecipazione dei cittadini. Di acqua sotto i ponti ne dovrà passare per capire se la partecipazione richiesta riuscirà laddove loro (i professionisti dell’opposizione) hanno fino a oggi miseramente fallito. La condizione base dovrà essere la nomina, a governatore soprattutto, al di là della retorica del nome che non interessa e del nome che non conta, di una figura esterna alla politica in grado di non farsi irretire dai giochi incrociati dei soliti noti. Una figura riconosciuta dai “partecipanti” che sappia ricondurre i partiti della coalizione, allo stato attuale una vera e propria gabbia per qualsivoglia visione di una sinistra molteplice e convinta di dover andare oltre il politicamente corretto, in un alveo chiamato: Transizione Comune. Laddove la Transizione deve esprimere la forza cinetica propria di una collettività in movimento e il Comune (dei beni e dei sentimenti) il campo di azione in cui il movimento deve liberarsi.

Per paradosso proprio la scheggia impazzita Bandecchi, la cui consistenza al di fuori della citta di Terni è tutta da stabilire, una volta “lasciato libero” di agire e sproloquiare, può essere l’ago della bilancia. Difficile che riesca a vincere, facile che possa far perdere. Anche perché, e qui torniamo alla politica che cova dietro il moralismo e sotto il turpiloquio, mentre il campo progressista batte un colpo di unità, a Terni – come nelle passate giunte a guida Pd e come ricordato dal forzista Ferranti, già presidente del Consiglio – Bandecchi nomina assessore allo sviluppo economico e ai rapporti con multinazionali e sindacati un elemento storico della Cgil locale e nazionale, rifacendosi alla mirabolante parabola del i migliori con me a prescindere da dove vengono. In maniera altrettanto evangelica, il neo assessore giustifica il suo passo con la retorica dell’incondizionato amore che prova per la città, scordandosi ovviamente chi sia e da dove venga, proprio perché con fare autocelebrativo andante si considera migliore esaudendo così le sue egotiche mire e contemporaneamente rispettando pedissequamente i voleri del suo sindaco.

Non resta che chiudere la seconda puntata della storia/farsa con la sagacia sonora di Brunori sas, dedicandola ovviamente a tutte e tutti coloro che si riconoscono, più o meno esplicitamente, nelle baracconate da fiera paesana sul ruolo del maschio e del culo delle donne espresse dal sindaco di Terni:

Il destino della donna è il destino della Terra

Calpestata da millenni da maschietti sempre in guerra

Chiusi in bagno col righello a stimare la lunghezza di un uccello

troppo piccolo per volare sulla loro insicurezza

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