Quadri di Mauro Tippolotti alla mostra "Alibi Caravaggio"
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L’alibi felice di Mauro Tippolotti

 

L’alibi è la prova con la quale un indiziato dimostra d’essere stato altrove rispetto al luogo dove è stato commesso un reato; da cui estensivamente è diventato sinonimo di discolpa, attenuante, giustificazione, pretesto, scusante, scappatoia e altri significati che, come spesso accade, quando sono troppi fanno correre a una parola il rischio di piegarsi a tutte le intenzioni non contenendone alcuna.

Rischio che Mauro Tippolotti, consapevole delle sue intenzioni, ha deliberatamente corso intitolando la sua ultima mostra “Alibi Caravaggio”, visitabile fino al 27 agosto presso lo spazio espositivo Santa Maria della Misericordia, a Perugia, in via Oberdan 54. A prima vista un atto di presunzione; invece è un atto di onestà, quasi a voler dire: non cerco alibi, la mia pittura attraversa degli snodi che dichiaro, so di avere dei debiti e non li nascondo dicendo d’essere stato altrove.

Non si cela nemmeno dietro un’altra parola passepartout come contaminazione, molto abusata nel gergo dell’arte che, tra le altre cose, sarebbe bene evitare visto che evoca infestazione, contagio e inquinamento. In questa mostra la presenza di uno dei giganti dell’arte come Caravaggio (a volte passando per Mondrian e Rothko) è palese, esce dall’ombra, occhieggia da un quadro all’altro creando quegli effetti di luce e ombra di cui è l’indiscusso maestro e inventore restituendo con l’immagine di Narciso riflessa nell’acqua pure quel senso di ambiguità che la parola alibi contiene, rafforzata dal fatto che il Narciso originale attribuito a Caravaggio persino dal grande storico dell’arte Roberto Longhi ora è sempre più spesso e sempre più autorevolmente considerato di Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino.

Altre volte per Mauro Tippolotti l’alibi è qualcosa di imminente catturato nell’atto del formarsi, un vero e proprio granire dal colore come fanno dal nero informali gialli, rosso, blu e bianco o caravaggeschi cesti di frutta dal giallo e dal rosa che mi sono sembrati i più aderenti alla sua esplicitata ragione e la parte più poetica di questa felice (Mauro è felice quando parla di o fa pittura) mostra realizzata con gioiosa, viene da dire fanciullesca, purezza.

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