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Terni alle elezioni in cerca di se stessa

 

All’uscita dal “Libero Liberati” il tifoso è corrucciato, e non è solo per il risultato. La Ternana ha perso male in casa col Venezia, è vero. Ma il malessere è più profondo. «Qui sono settimane ormai che a ogni risultato se ne fa l’analisi delle possibili ricadute sul voto, non se ne può più». Va allo stadio da quando era bambino, e in tutti questi decenni non era mai capitato che uno dei presidenti della squadra di calcio si candidasse alla carica di sindaco. Che tra il mondo del calcio, quello degli affari e quello della politica ci siano intrecci profondi non è certo cosa nuova, neanche in questa città. Ma la candidatura di Stefano Bandecchi, una delle sette persone che competono per lo scranno più alto di Palazzo Spada, ha agitato parecchio le acque. A causa della tipologia del personaggio, certo. Bandecchi ha promesso un nuovo stadio ai ternani a patto che gli si concedesse di realizzare una clinica privata convenzionata col sistema sanitario regionale, cioè finanziata con soldi pubblici. E ha manifestato l’intenzione di costruire un centro sportivo a Villa Palma, zona verde di pregio a nord della città. In entrambi i casi la città si è polarizzata. Da una parte un pezzo di tifoseria e una parte di uomini e donne che vedono ogni investimento sulla città come manna dal cielo, a prescindere dalle ricadute e da chi investa in cosa e perché. Dall’altra chi ritiene quanto meno bizzarra l’idea di legare in un unico destino due strutture così differenti – uno stadio e una clinica privata – e quella di mettere a repentaglio un’area verde quando in città non mancano certo le zone in cui realizzare un centro sportivo. Si è arrivati al punto che i pro-Bandecchi hanno argomentato che una clinica privata a Terni servirebbe perché le strutture del genere che ci sono in regione sono tutte in provincia di Perugia. Il tutto mentre l’ospedale di Terni langue. Cioè: invece di rivendicare la riqualificazione della sanità pubblica, si chiede di riequilibrare la presenza dei privati in sanità nelle due province. Quando chiedo a un docente di scienze sociali come sia possibile una capriola logica così plateale, la risposta offre un gancio per capire, ma non è del tutto sufficiente: «Terni – mi dice – è una città così ischeletrita che i pesi specifici al suo interno acquisiscono un valore diverso rispetto a quanto può succedere altrove. Qui uno come Bandecchi fa più rumore di quanto ne potrebbe fare in altre piazze».

Ma il fatto che un personaggio così sopra le righe – il presidente di una squadra di calcio che ha rivendicato in conferenza stampa di aver sputato a dei tifosi che lo contestavano – possa riscuotere consenso, e che le sue proposte bislacche possano addirittura far discutere una città intera quando il massimo che gli si concederebbe sarebbe un’alzata di spalle, rimane sorprendente. Quando nel giugno del 2017 arrivò in città da salvatore della squadra di calcio, ci fu addirittura una corsa a intestarsi il merito di averlo portato. Se non ci fossero stati «l’iniziativa di Raffaele Nevi e i buoni auspici di Antonio Tajani», Bandecchi a Terni non sarebbe mai arrivato, rivendicò in un post su facebook Guido Nevi, già consigliere comunale di Forza Italia, che del parlamentare ternano legatissimo all’attuale ministro degli Esteri è cugino. Tra Bandecchi e Tajani dei rapporti c’erano, come dimostrano i centomila euro di finanziamento erogati nel 2019 dal patron della Ternana al politico che allora era presidente del Parlamento europeo. Il sindaco di Terni dell’epoca, Leopoldo Di Girolamo (Pd), si risentì di questa rivelazione, e invitò a non buttarla in politica: che Forza Italia si intestasse il merito di averlo fatto arrivare in città poteva diventare controproducente per il centrosinistra, allora intorno a Bandecchi il consenso era unanime. Come fu unanime, nella primavera del 2022, il «sì» del Consiglio comunale alla concessione della cittadinanza onoraria al presidente della Ternana e proprietario dell’università telematica Unicusano. Le fiammate polemiche e le proposte spericolate ancora non erano arrivate, e Bandecchi ricevette l’onorificenza contestualmente a Liliana Segre, scampata ai campi di sterminio nazisti e testimone vivente della Shoah. Oggi l’unanimità intorno a Bandecchi si è pesantemente incrinata, ma a destra e a sinistra serpeggia inquietudine per la candidatura di questo outsider che potrebbe dar fastidio a entrambe. Ma la domanda rimane sul tavolo: come può riscuotere successo un personaggio così?

Il disorientamento della città

Per tentare di fornire elementi per una risposta occorre fare qualche passo indietro. Terni è una città sballottata da tempo, volubile come lo è chi ha perso il senso dell’orientamento anche se non ne è pienamente cosciente. Nel 2018 la novità politica è il M5S, e Terni premia il partito allora capitanato da Di Maio con il 30,5 per cento alle Politiche, una percentuale superiore sia alla media regionale, ferma al 27,5, sia a quella dell’altro capoluogo, Perugia, in cui i grillini non superano il 24,5 per cento. Alle Europee del 2019 brilla l’astro di Salvini, e a Terni la Lega riscuote il 37,5 per cento dei voti, mentre a Perugia si ferma al 31,5. Alle Regionali di qualche mese dopo, la Lega a Terni arriva addirittura al 41 per cento, sopra la media regionale (37 per cento) e molto al di sopra dei consensi registrati a Perugia (28 per cento). Alle ultime elezioni la zattera più solida alla quale aggrapparsi pare quella di Meloni, e anche in questo caso Terni mostra di crederci più del resto dell’Umbria: i fratelli di Giorgia prendono il 30,1 per cento nel capoluogo dell’Umbria del sud e si fermano al 28,2 per cento a Perugia. C’è insomma, a Terni, una tendenza ad affidarsi di volta in volta a qualcuno pur di uscire da uno stato di malessere. Una tendenza che si acutizza rispetto ad altre aree della regione. Se a Perugia il sindaco che strappa l’egemonia al centrosinistra è il moderato berlusconiano di buona famiglia Andrea Romizi, a Terni succede che primo cittadino diventa Leonardo Latini, l’ex segretario provinciale del Fronte della gioventù, organizzazione giovanile missina, che nel frattempo ha traslocato nella Lega. Oggi, con Pd e M5S divisi al primo turno, e la destra che ha scaricato il sindaco al primo mandato per puntare sull’esponente di Fratelli d’Italia Orlando Masselli, una parte del malcontento rischia di incanalarsi ancora una volta verso l’ennesima novità, Bandecchi appunto.

La perdita dell’identità

Lo sballottamento di Terni dura da decenni. Quello che è capitato a questa città è quasi un unicum. Terni ha conquistato il suo cosmopolitismo più di un secolo fa, quando negli anni ottanta dell’Ottocento la popolazione raddoppiò in meno di una decade senza che ciò creasse sconquasso alcuno. Arrivarono in tantissimi dalle campagne circostanti e da mezzo centro Italia, attratti dall’apertura dell’Acciaieria e della Fabbrica d’Armi, a contaminare usi e costumi. L’identità della città si è forgiata attorno alla grande industria in maniera pressoché indissolubile. Non esiste praticamente altra città di analoghe dimensioni in Italia con una identità così marcata come Terni. Se la si doveva confrontare, i termini non erano Arezzo, Novara, Piacenza, Forlì o Udine, ma Torino o Manchester. Solo che le dimensioni ridotte di Terni rispetto a quelle delle due capitali industriali hanno fatto in modo che quando il contesto produttivo ed economico-globale sono cambiati, ciò ha prodotto una depressione caspica come non è successo altrove. Siamo sempre alla questione dei pesi specifici, che a parità di condizioni, in una città di modeste dimensioni, risultano assai maggiori. Avviene lo stesso con le assenze. Oggi la grande industria c’è ancora, ma non è più la città. Per far capire a chi non la conosce la portata di ciò che è successo all’identità di Terni, è come se a Perugia succedesse di essere privata in un colpo solo delle due Università e degli uffici pubblici.

Quando succede una cosa del genere è dura recuperare. Un tentativo di riconversione è stato fatto, pressoché in contemporanea alla trasformazione che si stava producendo. Negli anni ottanta del secolo scorso, venne coniato lo slogan “Dall’immagine della fabbrica alla fabbrica dell’immagine”. L’idea era di fare della città che stava perdendo il ruolo centrale dell’industria, un polo di produzioni televisive e cinematografiche, con un occhio a quella che allora pareva una parola da fantascienza: multimedialità. Si attinse a fondi europei e si realizzò quello che non a caso è conosciuto ancora “Centro multimediale”. Solo che oggi, a distanza di trent’anni, quel posto ospita uffici pubblici, una piccola azienda, e quattro teatri di posa molto scarsamente utilizzati. Le cose non sono andate come si auspicava. Può capitare. Sta di fatto che quell’intuizione era sorretta da un potere pubblico che aveva ancora la forza di immaginare il futuro, e che ambiziosamente ci provò. Se anche il risultato non è stato premiante, il metodo potrebbe essere ancora quello, soprattutto in tempi di riconversioni ambientali e transizioni digitali che sono diventate strategie europee e che necessitano di un protagonismo del pubblico.

Il panorama di oggi

Ma il panorama attuale è lontano in maniera siderale da un contesto di quel tipo. Nel programma del sindaco uscente, due dei pilastri sbandierati nel 2018 erano il risanamento ambientale, con Terni che sarebbe dovuta diventare “area ambientale complessa”, in modo da poter usufruire di fondi per la riconversione, e l’abbattimento delle liste d’attesa in sanità. A cinque anni dall’insediamento di quel governo cittadino, dell’area ambientale complessa non c’è traccia; la centralina di rilevamento di Prisciano, abitato che sorge all’ombra dell’acciaieria, ha rilevato lo scorso 31 marzo la concentrazione più alta di polveri sottili dal 2019 e il 22 marzo il valore di biossido di azoto maggiore degli ultimi quattro anni. Per quanto riguarda la sanità, le lunghezza delle liste d’attesa ha assunto caratteri così imbarazzanti ed emergenziali da essere continuamente oggetto di annunci da parte della Giunta regionale, che detto per inciso è dello stesso colore politico di quella cittadina uscente. Non solo: l’ospedale, che attualmente è una struttura ad alta specializzazione, con la costituzione dell’azienda ospedaliero-universitaria preconizzata dall’intesa tra Regione e Università, rischia di vedere ulteriormente allontanarsi i centri decisionali per la gestione di un nosocomio che negli anni, grazie alla sua qualità, ha fatto registrare indici di attrattività maggiori rispetto al policlinico di Perugia.

Tutto questo si traduce in un’occupazione che, secondo quanto certifica l’Istat, ha perso cinquemila unità di lavoro dal 2009, tremila delle quali proprio nel settore dell’industria. Le imprese attive nell’industria a giugno 2022 erano 824, oltre cento in meno rispetto al 2009, quando se ne registravano 942. L’ischeletrimento di Terni è testimoniato anche dalla perdita di 3.400 residenti nel triennio 2019-2022. E a proposito di spopolamento, nel 2019 c’erano 12.543 persone in un’età compresa tra i 25 e i 30 anni; quattro anni dopo, di quella generazione mancano all’appello quasi quattrocento persone. È il sintomo di una popolazione che nel fiore degli anni preferisce trasferirsi altrove. E del resto, dalla provincia di Terni, ogni mattina, si spostano per lavoro verso la provincia di Perugia 2.451 persone e per studio 969. Altre 4.625 persone si muovono per motivi di lavoro verso province di altre regioni (la stragrande maggioranza verso Roma) e ulteriori 1.431 lo fanno per studio. Sono dati relativi al censimento 2011, ma per capire quanto siano attuali e misurare l’entità del fenomeno, basta andare alla stazione ferroviaria dalle 17.30- 18 in poi e mettersi a contare le persone che scendono dai convogli provenienti dalla Capitale.

Cosa serve

Per sollevarsi da questa astenia un potere pubblico (non solo comunale, ma anche statale e regionale) sarebbe chiamato a fare uno sforzo straordinario. È illusorio pensare che una città che ha visto il proprio volto letteralmente trasfigurarsi trovi da sola la forza di reagire. Ed è ancora più illusorio ritenere che lo si possa fare in una regione in cui l’impresa privata non brilla né per investimenti in ricerca né per innovazione, bensì per salari più bassi della media nazionale. Nei diversi programmi elettorali si insiste sempre più di frequente sui richiami al turismo, ma Terni un’identità ce l’ha avuta, forte, verticale. Quella industriale. Forse da lì occorrerebbe tentare di ripartire, acquisendo il concetto che l’industria oggi è infrastrutture digitali, energia rinnovabile, transizione ecologica con tutte le sue innumerevoli implicazioni produttive e di processo. E facendo propria l’idea che senza un intervento pubblico ambizioso e coerente è difficile provare a collocarsi su quei crinali, come Terni seppe fare alla fine dell’Ottocento diventando quello che è stata e che è. C’è la forza per tentare un intervento pubblico di questo tipo? Per immaginare per Terni, al di là delle parole, un futuro da capitale della produzione di idrogeno rinnovabile, per dirne una? A livello regionale pare di no. L’unico investimento in idrogeno fatto è nella vicina Narni, con 14 milioni del Pnrr che finanzieranno la Sangraf, azienda che produce grafite per elettrodi industriali. Ma siamo lontanissimi dall’hydrogen valley che potrebbe contribuire a riconvertire la città.

Le elezioni alle porte

Reduce da anni trascorsi alla continua ricerca di salvatori, la città si avvia alle elezioni amministrative di metà maggio non senza contraddizioni e con sette candidati a sindaco. Di Bandecchi s’è detto, poi ci sono centrosinistra e M5S divisi, l’uno con Josè Maria Kenny, l’altro con Claudio Fiorelli; la sinistra radicale divisa a sua volta: la galassia comunista col candidato del M5S, e Potere al Popolo con una sua candidata sindaca, Silvia Tobia. Paolo Cianfoni guida l’alleanza degli innovatori, e si è candidato pure l’ex leghista Emanuele Fiorini. Infine c’è la destra, che ha bocciato il suo sindaco, quello che aveva riconquistato la città a quasi trent’anni dall’esperienza di Gianfranco Ciaurro, per candidare Orlando Masselli, assessore al Bilancio uscente di una giunta che si è liquefatta strada facendo: dei nove assessori partiti nell’estate 2018 ne sono rimasti tre. In un quadro del genere, Fratelli d’Italia ha fatto la voce grossa per piazzare il suo candidato, sapendo che questo costerà una sorta di ripartenza, e dunque qualche fatica. Una fatica che costringe a imbarcare Casapound: Alessio Pagliaricci, che nel 2018 era stato il capo della lista di quella formazione, oggi è in quella di Fratelli d’Italia. Lo stesso Masselli ha reso omaggio all’alleanza, andando a trovare lo scorso 22 aprile gli amici di Pagliaricci nella loro sede, che non si chiama più Casapound, ma “Terni identitaria”.

Da sinistra, Manuela Beltrame, Orlando Masselli e Alessio Pagliaricci, sabato 22 aprile, nella sede di "Terni Iidentitaria" (foto dal profilo facebook di Alessio Pagliaricci
Da sinistra, Manuela Beltrame, Orlando Masselli e Alessio Pagliaricci, sabato 22 aprile, nella sede di “Terni Iidentitaria” (foto dal profilo facebook di Alessio Pagliaricci)

È una fatica anche dal punto di vista economico, quella della destra: dei dodici gazebo e comitati elettorali che puntellano Piazza Tacito e il Corso, ben sei sono di Masselli o di partiti e candidati a lui collegati, due di Bandecchi, e uno ciascuno di Pd, Sinistra italiana, comunisti e M5S. I candidati di destra stanno investendo insomma un sacco di soldi, e ce ne sono almeno tre che pur essendo candidati solo per il Consiglio comunale, hanno aperto un loro comitato elettorale lungo la via principale della città. Il comitato elettorale di Masselli occupa mezza galleria del corso, quello di colui che si annuncia come il suo principale avversario, Kenny, è una porticina che si affaccia su Corso Tacito. E anche Bandecchi, che a manie di grandezza non scherza, non compete, in metri quadrati, col candidato della destra: ha due vetrine che danno su via Goldoni, in un manifesto che si può leggere dall’esterno campeggia lo slogan: «Mai più schiavi di Perugia», che se fosse davvero così, sarebbe tutto molto più facile per Terni.

Nella foto, corso Tacito

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