La pressa da dodicimila tonnellate in piazza della Stazione, a Terni
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È l’ambiente il banco di prova delle nuove acciaierie

 

La storia più che centenaria delle acciaierie ternane ha attraversato momenti di svolta rilevanti, dal punto di vista delle produzioni (da multisettoriale a monosettoriale), degli assetti proprietari (da pubblica italiana a multinazionale privata tedesca), della collocazione sul mercato della siderurgia (da strategica nazionale a inziativa legata, come tante altre, alla capacità d’innovare e creare profitti per la proprietà degli azionisti ). Con la vendita in atto di AST, da Thyssen Krupp al gruppo siderurgico italiano Arvedi, siamo di nuovo ad uno di questi tornanti della storia della nostra fabbrica simbolo di Viale Brin.

Quando, diversi anni fa, vedemmo sventolare la bandiera tedesca davanti ai cancelli delle Acciaierie, credo che più di un ternano abbia inteso un colpo al cuore e brividi lungo la schiena. Si apriva una fase inedita, colma di incertezze. Lavoratori e istituzioni del territorio avvertivano quanto sarebbe stato più difficile interloquire e contrattare con un potere lontano, chiuso e dalle strategie spesso non decifrabili.

La gestione tedesca, pur con carenze e ritardi su alcune scelte strategiche, ci consegna, al momento della vendita, una unità produttiva ancora vitale e in grado di stare sul mercato nazionale e globale degli acciai speciali. Torna in mani e teste industriali italiane una grande risorsa produttiva del paese; se Thyssen Krupp manterrà una quota azionaria di minoranza sarà una buona notizia per la solidità e lo standing internazionale della fabbrica di Terni. Tanto più se ingloberà struttura commerciale e Centri servizi, per la prima verticalizzazione dei prodotti offerti alla clientela industriale. Anche una presenza pubblica statale, di minoranza, nella compagine azionaria, con funzioni di supporto e monitoraggio, potrebbe completare al meglio il nuovo quadro proprietario. La siderurgia, infatti, da una parte rientra nella azioni strategiche volte a recuperare “sovranità industriale”, da parte delle nazioni europee, dopo la lezione del Covid sulla pericolosa dipendenza dall’estero di presidi sanitari e vaccini e in presenza di una crisi nella penetrazione e tenuta della globalizzazione; dall’altra parte costituisce uno dei settori principali della transizione energetica ed industriale, sulla via tracciata dall’Europa per la decarbonizzazione e la neutralità climatica della produzione industriale.

Ast, attualmente, emette 300.000 tonnellate di CO2, all’anno ed è perciò una fabbrica climalterante che dovrà impegnarsi, molto, per ridurre le sue emissioni, al 2050, con la tappa intermedia del 2030, che imporrebbe un dimezzamento delle emissioni attuali, nei prossimi nove anni. Il gruppo Arvedi che subentra ai tedeschi, presenterà al sindacato ed alla città, il suo Piano industriale pluriennale. Gli investimenti, i livelli produttivi ed occupazionali e l’organizzazione del lavoro, le spese in ricerca tecnologica, saranno gli indicatori sui quali giudicare. Ma soprattutto le scelte che potranno rendere, dopo 130 anni di storia, le acciaierie ternane una fabbrica ambientalmente sostenibile, dell’economia circolare, e perciò altamente innovativa nel processo produttivo, le fonti energetiche utilizzate e gli scarti finali. Solo se su questo punto decisivo ci sarà risposta ed impegno, da parte della nuova proprietà, le acciaierie avranno un futuro e potremo essere orgogliosi del tricolore che torna a garrire in Viale Brin.

In copertina, la pressa da 12 mila tonnellate, monumento di archeologia industriale che campeggia nella piazza della Stazione, a Terni, a simboleggiare il legame tra fabbrica e città (foto dal profilo Flickr di Alessandro Giangiulio)

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