Sandri Penna e Pierpaolo Pasolini
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Quella cosa inutile chiamata poesia

 

Walter Cremonte, sebbene meno conosciuto di quanto meriti per la ritrosia che ha di mettersi in mostra, è senza dubbio uno tra i più significativi poeti italiani viventi. Del suo percorso non fanno parte solo le sue raccolte poetiche ma anche i suoi articoli e saggi sulla poesia.

In A margine, pamphlet edito da “Crace”, sono raccolti suoi articoli usciti anni fa su Micropolis mensile umbro allegato de il manifesto dove nello scritto “Il luogo esatto” Walter, ricordando che da lì a due anni sarebbe stato il centenario della nascita di Sandro Penna, chiede «cosa farà Perugia per ricordare il suo più grande poeta», suggerendo di farlo in via Sandro Penna: «stradone della periferia industriale, lungo e diritto tra capannoni,, magazzini, rimesse. (Dove) non c’è neanche una casa, nessuno che possa dire: abito in via Sandro Penna».

Ma Walter non solo di poeti si occupa, in “Effetti speciali”, scritto con il quale apre A margine, riflette sull’uso mistificatorio della lingua e su quella che viene definita la sua “funzione poetica” scrivendo che almeno su questo qualcosa resta da fare: «Salvaguardare la lingua poetica dall’uso truffaldino della funzione poetica della lingua. Insomma, rimettere un po’ le cose a posto». Cosa intendesse per «rimettere le cose a posto» nella lingua poetica è un concetto già manifestato, non so quanto consapevolmente, da Cremonte in una delle sue poesie più belle: Le parole che voi buttate

Le parole che voi buttate

vuoto a perdere ai bordi delle strade

le parole come poveri stracci

consumate rotte calpestate

le parole che avete consumato

e poi buttato

 

le parole che a voi non servono, grazie,

io voglio raccoglierle

e pronunciarle,

le parole come caldo e come freddo

e come tu e come io

e come tutto il mio

malinteso amore

 

le parole che a me servono, grazie,

e ancora

a pronunciarle mi salvano.

È quasi una dichiarazione di poetica, quella di voler occuparsi, raccogliendole e pronunciandole., delle parole che abbiamo «consumato / e poi buttato». Non so se Walter consideri tali anche celeberrimi versi di Sandro Penna usurati dalla fama, detti e ridetti, citati e riportati. Sta di fatto che della lingua poetica di Walter – Ombretta Ciurnelli ha scritto che in essa «la semplicità della lingua si coniuga con l’intensità del dire» – sono parte alcune poesie nelle quali compaiono versi di Penna che in esse riacquistano il loro mistero e la loro lucente profondità:

Voce che mi dicevi

“il mare è tutto calmo”

da dove venivi? quale tempesta

placavi? e cosa resta

di te, di noi

voce dei cuori

 

che mi dicevi

il mare è tutto calmo

Due belle poesie di Walter Cremonte e un suo ancora attuale libretto nel quale con due anni d’anticipo ricordava a Perugia e all’Umbria il centenario della nascita di Sandro Penna. Un invito tuttora valido per ricordare con un anno di anticipo a Comune di Perugia, Regione dell’Umbria, alle due Università perugine, al Conservatorio musicale, all’Accademia di Belle arti, alle scuole di studi superiori e non, alle Fondazioni, alle associazioni e via dicendo che il 2026 sarà il centoventesimo anniversario della nascita e il 2027 il cinquantesimo della morte di uno dei massimi poeti del Novecento italiano nato a Perugia il 12 giugno 1906 e morto a Roma il 21 gennaio 1977. Un “classico” della letteratura italiana, nato e vissuto per più di vent’anni nella città di Perugia, le cui parole a noi ancora servono e a pronunciarle ancora ci salvano a riprova di quanto ci sia ancora indispensabile quella cosa inutile che si chiama poesia.

Nella foto tratta da wikipedia, Sandro Penna insieme a Pierpaolo Pasolini

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