I soci lavoratori della Trafocoop
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La nuova vita della Trafocoop

 

La sterpaglia cresciuta spontaneamente alla base del cancello scorrevole che costeggia la strada Pievaiola e che ci si ritrova sulla destra una volta che usciti da Tavernelle si prosegue verso sud ovest è l’altra faccia della medaglia di questa storia. Testimonia che la sliding door che nel maggio scorso si è aperta su una cooperativa di 28 lavoratori riuscita a rilevare la vecchia Trafomec Shanghai Industries Ltd. facendola diventare Trafocoop, poteva al contrario spalancarsi sugli ennesimi capannoni in disuso. Invece quei rovi infestano la parte di azienda che la nuova cooperativa ha deciso volontariamente di lasciare vuota per tenere sotto controllo le spese per l’affitto. «Abbiamo concluso che 7-8 mila metri quadrati potevano bastare per riattivare la produzione», dice Federico Malizia, presidente della realtà che dallo scorso maggio ha riacceso i motori di questa storica fabbrica che si trova nel cuore di una valle che prende il nome dal torrente Nestore, che la taglia da occidente a oriente per poi piegare a sud e tuffarsi, poco dopo Marsciano, nel Tevere. La storia di questa azienda è legata in maniera indissolubile alla Valnestore. Negli anni d’oro Trafomec era arrivata a impiegare centinaia di persone; solo alla metà degli anni dieci del Duemila ce n’erano ancora trecento al lavoro in questi capannoni: si producevano anche trasformatori per lo space shuttle della Nasa e pezzi per la componentistica antincendio dei Tgv, i treni ad alta velocità francesi. Poi è iniziata una storia che ha inanellato crisi su crisi, cambi di nome su cambi di nome. Fino a che dell’impresa hanno cominciato a farsene carico, da un paio di mesi a questa parte, gli stessi lavoratori.

Adesso per entrare in Trafocoop occorre varcare un altro cancello che si trova a nord rispetto al vecchio. Vi si accede dopo aver percorso un tratto di una assolatissima via Edison costeggiata di sedi di imprese artigiane e meccaniche, vetrerie e di abbigliamento.

Come i metri quadrati utilizzati, anche il numero di lavoratori occupati si è assottogliato. Erano 110 quando nel 2016 la Shanghai InducTek Power Electronics Technology Ltd. aveva rilevato l’azienda. Nel corso dei sei anni dell’ultima gestione erano scesi a 79. Poi, dal settembre 2022, momento in cui in seguito alla sentenza del tribunale è subentrata la curatela fallimentare che ha congelato la produzione, il numero era ulteriormente sceso fino ad arrivare a 45. Molti dei vecchi dipendenti, viste le acque avverse in cui si stava navigando, hanno deciso di andare altrove. Nel frattempo invece, alcuni di loro, nell’aprile 2022, avevano già costituito la cooperativa immaginandola come strumento possibile per darsi una possibilità di mantenere in vita l’impresa nella quale lavoravano. Per quattro mesi hanno continuato a fare i turni in azienda senza percepire stipendio da una proprietà che era come evaporata. Poi, dal settembre 2022, hanno atteso che la curatela facesse i suoi passi, e una volta che si è aperto il bando hanno presentato l’offerta per prendere in affitto l’azienda. E ci sono riusciti, anche facendo leva sul diritto di prelazione che in questi casi spetta alle cooperative costituite dai dipendenti.

La cooperativa l’hanno costituita in 28, che oggi sono tutti soci lavoratori di questa impresa che «produce trasformatori industriali utilizzando macchinari che sono stati a loro volta fabbricati qua dentro», puntualizza con qualche orgoglio Malizia per testimoniare una storia con radici lunghe e con competenze al suo interno che nel corso del tempo sono andate a contaminare positivamente pure altri siti e altre realtà. Ai 28 si sono aggiunte altre tre figure che pur lavorando in Trafocoop non fanno parte dell’assemblea dei soci, essendo solo dipendenti. I 28 soci hanno investito i 24 mesi di indennità di disoccupazione (la Naspi) nel capitale sociale, per un totale di 580 mila euro che costituiscono il 65 per cento del totale. Perché a quella cifra si sono aggiunti altri 300 mila euro, equamente erogati da Fondo Sviluppo – il fondo mutualistico di Confcooperative, la centrale che ha seguito l’iter di costituzione della cooperativa di lavoratori – e Cfi (Cooperazione finanza impresa), una partecipata del ministero delle Imprese che ha tra i suoi scopi proprio quello di promuovere le cooperative sociali e di produzione e lavoro.

Il profilo è stato mantenuto volutamente basso, da parte dei protagonisti. Perché non c’è stato solo da affrontare la sfida – tipica in casi come questo – del passaggio dall’essere lavoratori al farsi carico dell’impresa tout court. C’è di più. «Sono stati mesi difficilissimi, ci sono stati passaggi devastanti», ammette Malizia. E c’è da capirlo, questa è una realtà che ha perso più del 60 per cento della forza lavoro impiegata fino a qualche tempo fa, che però stava già passando di crisi in crisi. Quando nell’agosto 2016 c’era stato il passaggio di proprietà da Trafomec Industries ai cinesi, una nota di Fiom Cgil e Fim Cisl denunciava come l’annuncio fosse stato «sbattuto in bacheca senza che alcun responsabile aziendale si sia dato pena di convocare la Rsu per informarla sulla vicenda e permettere ai lavoratori di poter avere, come loro diritto, un minimo di chiarezza». La nota proseguiva facendo comprendere bene quale fosse lo stato d’animo di chi lavorava in Trafomec e quello delle relazioni con la dirigenza: «Sono di nuovo i dipendenti a dover subire un trattamento indegno e poco consono a quelle che sono corrette relazioni industriali. Dopo aver fatto sacrifici inenarrabili, avere dimostrato sempre un profondo senso di responsabilità, conoscere i propri destini appesi in una scarna e grigia bacheca aziendale, la dice lunga sulla considerazione che evidentemente questa azienda nutre nei confronti dei propri dipendenti». Purtroppo si trattava di un buongiorno che annunciava un periodo pessimo, che ha portato la nuova proprietà cinese a disimpegnarsi progressivamente fino a quando a metà del 2022 anche gli stipendi, oltre a molte altre cose, sono venuti a mancare.

Di buono c’è che quando la storia si è messa davvero male, i lavoratori si sono saputi mettere in moto per salvare il salvabile, facendo leva soprattutto su chi lavorava nel reparto commerciale, che è riuscito a mantenere buoni rapporti con fornitori e clienti nel momento in cui la produzione veniva congelata poiché la questione era diventata non più industriale, bensì una cosa da gestire nelle aule di un tribunale. Parallelamente si avviavano canali diplomatici per essere supportati dalle istituzioni. Che pare non siano mancate al proprio impegno. «Voglio sottolineare che la loro sponda non è mai venuta meno, e soprattutto il sindaco (di Tavernelle, ndr) Cherubini e l’assessore regionale Fioroni ci hanno seguito costantemente». Ma la mano forse risolutiva è stata allungata da Confcooperative, che ha messo a punto insieme ai lavoratori che hanno deciso di costituirsi in cooperativa l’intelaiatura economico-giuridica per uscire dalle sabbie mobili. «Ci hanno seguito in tutto, e tuttora ci forniscono una serie di funzioni che abbiamo dovuto esternalizzare presso organismi appositi e che senza il loro aiuto non saremmo riusciti a ottenere», aggiunge Malizia. Il buon clima generale, oltre che dalla sponda istituzionale è confermato dal fatto che la proprietà dei capannoni in cui si svolge l’attività è anch’essa venuta incontro alle esigenze dei lavoratori costituitisi in cooperativa.

E adesso, qual è la situazione? E soprattutto, quali le prospettive? La nuova cooperativa attiva da appena due mesi è riuscita a confermare l’80 per cento degli ordini della vecchia gestione, e adesso sta producendo per soddisfarli. «Non è facile – dice Malizia evitando di nascondersi dietro un dito – perché dobbiamo soddisfare quella mole di lavoro contando su meno della metà delle maestranze che c’erano prima». Sono i conti a imporlo. Ma le prospettive sono buone. «Ci siamo abbassati lo stipendio, e dedichiamo a questa azienda almeno dieci ore di lavoro al giorno», spiega il presidente di Trafocoop. Gli obiettivi però sono abbastanza chiari. Il primo, minimo, è quello di restare in piedi almeno due anni per poter, in caso di nuova crisi, attingere agli ammortizzatori sociali. Ma si tratta del peggior scenario ipotizzato. Perché il business plan messo a punto prevede di passare dall’affitto dell’impresa all’acquisto nell’arco di 12 mesi. A quel punto si aprirebbe tutta un’altra storia. E il vento spirasse dalla parte giusta e si apriranno prospettive occupazionali, i primi a essere coinvolti saranno i vecchi lavoratori che non se la sono sentita di entrare in cooperativa.

*Articolo pubblicato sul numero di Micropolis uscito in allegato a il manifesto il 5/7/2023
Nella foto, tratta da fondosviluppo.it, i soci lavoratori della Trafocoop

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