Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo
Editoriali

Perché torna Cronache umbre

 

Tra il marzo 2018 e l’ottobre 2019 si è avuta una netta cesura nella storia della nostra regione. Si è chiusa definitivamente una pagina che si era aperta con la Liberazione e con la Repubblica, e che si era ulteriormente consolidata con l’istituzione della Regione nel 1970. L’ Umbria nella quale molti di noi sono cresciuti e hanno praticato il loro impegno sociale, civile e politico sembra dissolta, così come appare ormai in frantumi quel modello di socialismo appenninico (così è stata definita l’esperienza delle regioni rosse) che ha permesso anche agli umbri di fare notevoli progressi, di raggiungere elevati livelli di welfare e di buon vivere e di recuperare buona parte del gap che li separava dalle altre regioni del nord e del centro del paese.

La lunga crisi, dal 2007 ad oggi, oltre a produrre una forte riduzione del pil regionale e un crescente impoverimento della popolazione, ha provocato profondi mutamenti sociali e culturali. La sinistra umbra aveva avvertito, a partire dalla metà degli anni novanta, i rischi di declino, insistendo sulla necessità di introdurre cambiamenti nell’organizzazione del welfare, nelle politiche della formazione e della ricerca, nel funzionamento delle istituzioni regionali, nella programmazione e nell’utilizzo delle risorse pubbliche. In sostanza, aveva colto la necessità di ridefinire un nuovo progetto politico e programmatico, ma poi non è stata capace di dare seguito a queste intuizioni ed è rimasta come bloccata di fronte al precipitare della crisi. Dopo la perdita di Perugia non vi è stato alcun dibattito pubblico, né le successive sconfitte in comuni importanti come Terni, Foligno, Spoleto, Todi eccetera hanno originato riflessioni e discussioni in grado di sollecitare un serio ripensamento sul suo insediamento sociale, le sue forme organizzative e le sue prospettive. E così si è avviata con un colpevole fatalismo verso l’inevitabile sconfitta.

Le difficoltà della sinistra umbra hanno certo caratteri originali, ma non verrebbero comprese appieno se non esaminate nell’ altrettanto acuta crisi della sinistra italiana e europea. I partiti socialisti e democratici hanno subito ovunque delle brucianti sconfitte e oggi sono impegnati in una affannosa ricerca per uscirne, senza che se ne colgano esiti confortanti.

Ora, però siamo in presenza di un’ulteriore e ancor più drammatica cesura che riguarda, oltre alla nostra regione, tutto il paese e più in generale l’intero pianeta. Il nuovo scenario che ci lascia questo strano inverno con l’ esplosione dell’epidemia provocata dal Covid-19, gli effetti sempre più evidenti dei cambiamenti climatici e delle gravi e irrisolte questioni ambientali, il grande tema delle migrazioni di massa riesploso al confine tra Grecia e Turchia, produce profondi cambiamenti nelle nostre vite, nelle nostre economie, nelle relazioni sociali e nelle relazioni tra popoli e paesi.

Tutto ciò impone nuove e inedite sfide alla sinistra e una nuova radicalità nel ricercare risposte adeguate ai grandi temi globali come a quelli locali. Da un nuovo ordine internazionale, ad una nuova Europa democratica e sociale, dalla riconsiderazione del ruolo delle istituzioni pubbliche al rilancio del sistema sanitario pubblico, a nuove politiche della formazione, della ricerca, dello sviluppo sostenibile fino ad una nuova stessa di politica democratica.

I valori e gli ideali della sinistra tornano ad essere fondamentali e vitali. La sinistra è, infatti, necessaria per contrastare la contrazione dei diritti e degli spazi di libertà e di democrazia, la smisurata crescita delle diseguaglianze sociali, la disgregazione della società, la chiusura agli altri, ai diversi, il riemergere del razzismo e di nuove forme di fascismo. E ancora più adesso che abbiamo preso coscienza della nostra fragilità di fronte agli sconvolgimenti climatici, al diffondersi delle epidemie, alla incapacità di gestire conflitti militari e commerciali, mentre si rivelano illusori i sogni del neoliberismo, e la finanziarizzazione dell’economia mostra tutti i suoi limiti.

A patto certo che la sinistra sappia attrezzarsi, misurandosi con la propria storia e i propri errori, ricostruendo con nuovi innesti una propria cultura politica, un nuovo progetto, nuove modalità di organizzazione e soprattutto ricostituendo quel solido insediamento sociale che, con Gramsci, potremmo chiamare un nuovo blocco storico progressista.

La Fondazione Pietro Conti ha tra le proprie finalità statutarie la conservazione e la valorizzazione della tradizione e della cultura politica della sinistra umbra, ma di fronte a questa nuova fase storica sente anche l’obbligo contribuire a costruire il futuro. Per questo ha pensato di mettere a disposizione delle diverse componenti della sinistra umbra di oggi, e soprattutto delle giovani generazioni che si affacciano proprio ora all’impegno civile e politico il proprio patrimonio. Le occasioni potranno essere varie, per favorire la ripresa dell’ idea di una società umbra, aperta, solidale e cooperativa.

Come primo contributo vuole promuovere la formazione di un luogo di riflessione e discussione su ciò che è accaduto nel paese e in particolare nella nostra regione, e aprire un confronto sulle prospettive, riprendendo la vecchia e gloriosa testata Cronache umbre.

Nata nel 1954 per iniziativa dei giovani comunisti, formatisi nella lotta antifascista e nella Resistenza, che avevano accolto l’indicazione togliattiana del “partito nuovo” e si erano abbeverati ai testi gramsciani da poco pubblicati, Cronache umbre ha accompagnato tutte le fasi più importanti della storia della nostra regione fino ai primi anni del nuovo secolo, mantenendo, pur nella mutabilità dei temi, una sua coerenza di fondo. Ha sempre rifiutato il settarismo, guardando all’unità della sinistra, comunista, socialista, laica, cristiana e ambientalista, e con esso l’astrattismo ideologico per radicare nei reali processi economici, sociali e culturali le sue analisi, riflessioni e proposte, guardando sempre soprattutto alla funzione nazionale e democratica delle forze della sinistra.

Ecco, ora vogliamo riportarla in vita con gli stessi obbiettivi, per offrire di nuovo alla società umbra un vero e proprio laboratorio di idee, luogo di ricerca e confronto, che Gino Galli, Lello Rossi e Alberto Provantini (mi limito a citare questi tra i tanti direttori e redattori che si sono succeduti nel tempo) hanno voluto aperto, unitario, regionale, ma non localistico, con al centro il problema del progetto, del programma e soprattutto della formazione della classe dirigente per una nuova Umbria.

Foto: il “Quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo

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