Quando all’inizio del Novecento Amedeo Modigliani arriva a Parigi trova un clima artistico in pieno fermento con quasi tutti gli artisti che segnano con la loro arte l’inizio del secolo presenti in quella città. Eppure se si pensa a Montmartre e Montparnasse, i luoghi dove vivevano la loro esistenza bohémien, è lui, più di chiunque altro, che li rappresenta per l’intensa e bruciante vita che vi conduce.
Sono anni nei quali per Modigliani è fondamentale l’incontro con la scultura di Brancusi e la rivelazione di Cézanne, da cui derivano l’espressione interiore dei suoi ritratti, le figure affusolate, i colli esili e allungati, le tonalità dei colori al punto che anche i suoi voluttuosi nudi vanno visti – almeno a me appaiono così – come dei ritratti che si estendono al corpo verso cui spingono le “linee“ di Modigliani.
Lo si può percepire anche a Perugia alla Galleria Nazionale dell’Umbria davanti a “Nu couché” in prestito dalla Pinacoteca Agnelli di Torino. Uno dei suoi più celebri nudi dagli occhi bistrati di nero privi di pupille eppure profondi e partecipi, la bocca socchiusa, le linee ondulate e marcate del volto e delle braccia intrecciate sotto il mento che concentrano l’attenzione sul volto caricandolo di tensione. Con le linee che poi scendono, scandiscono lo spazio, scavano, uniscono, determinano un corpo disteso su astratte campiture di colore dipinto da Modigliani pensando da scultore.
Un’opera già vista a Torino alla Pinacoteca Agnelli. Lì, nel suo ultimo contesto, racconta la storia di una famiglia padrona della Fiat in grado di acquistare l’opera di grande valore economico ed evocativo di un pittore bello e maledetto come Modigliani. Mentre a Perugia mi ha lasciato la sensazione del “l’ho vista, non l’ho vista” e il desiderio che dalla pinacoteca perugina nasca una mostra originata da un’idea, dalla necessità, dallo studio.
C’è il Trecento in Umbria con la questione di cosa Giotto abbia o non abbia dipinto ad Assisi che spinge a studiare, riflettere, dire. C’è Giovanni Boccati con i suoi tre capolavori che aspetta una consacrazione definitiva. C’è il Quattrocento perugino, una parte del quale soffocata dal Perugino e dal Pintoricchio, che merita una luce propria a partire da Bartolomeo Caporali e la temperie artistica intorno a lui. C’è Agostino di Duccio, il cui ruolo nel portare il Rinascimento a Perugia ha bisogno di più attenzione e studi a partire da un maggiore spazio in Pinacoteca facendo uscire una parte degli Apostoli di Via Maestà delle Volte dai depositi dove non meritano di stare.
Queste e altre possibilità per attrarre interesse, incentivare turismo, guadagnare visitatori. Rendere chiaro che l’arte non sta mai ferma ma è un atto creativo sempre in movimento in cerca di verità. In grado, non appena le è concesso, di dare valore a luoghi e persone con la Galleria Nazionale dell’Umbria che al suo interno ha tutte le competenze in grado di consentirglielo e dimostrarlo.