Rimanendo all’interno della centrifuga del qui e ora che mastica tutto a ritmi indecenti, si vortica senza punti di riferimento e non si apprezza la traslazione significativa che c’è stata dalla caduta dell’Unione sovietica in avanti, da quando cioè l’assetto del mondo è cambiato in maniera significativa rispetto a quello uscito dalla Seconda guerra mondiale, squilibrandosi.
Non sappiamo quanto la centrifuga sia costruita ad arte dai cosiddetti potenti o quanto sia in grado di autoalimentarsi, e quindi fagocitare gli stessi potenti, che verrebbero attratti dalla sua logica per forza d’inerzia. Prediligiamo l’ipotesi che l’inferno globale al quale assistiamo si nutra un po’ dell’uno e un po’ dell’altro componente, cosa che non rende più tranquilli, perché è come se alla irragionevolezza degli umani si sia sovrapposta quella di un’entità inafferrabile e diabolica, cosa che rende tutto più difficile.
Abbiamo detto traslazione, sbagliando: essa è lo spostamento sincrono di tutti i punti di una figura geometrica, che quindi conserva le sue fattezze, seppure in un altro spazio. Qui siamo alla deformazione. Proviamo a uscire dalla centrifuga.
Il primo atto del mondo post guerra fredda, a cavallo tra il 1991 e il 1992, fu la cosiddetta prima guerra del Golfo. Lì una coalizione guidata dagli Usa e sotto l’egida dell’Onu mosse guerra all’Iraq che aveva invaso il Kuwait. Si trattò di un atto di guerra classico, odioso quanto si vuole, che rispondeva a un atto di guerra altrettanto classico (odioso quanto si vuole) .E si mantenne un contatto con un qualche tipo di legalità internazionale.
Il secondo atto prese vita seminando morte nel 2003, quando una coalizione guidata dagli Usa invase l’Iraq. Si argomentò che il regime di Saddam Hussein andava rovesciato poiché appoggiava il terrorismo di matrice fondamentalista islamica e disponeva di armi di distruzione di massa. Il ruolo dell’Onu rispetto a un decennio prima fu assai più marginale, sebbene fu nel teatro del Consiglio di sicurezza che il segretario di Stato statunitense Colin Powell mostrò con gesto teatrale una fiala contenente polvere bianca a corredo dell’argomentazione che l’Iraq possedeva armi di distruzione di massa, cosa che si è rivelata falsa.
In mezzo ci sono stati diversi accadimenti, non ultimo, nel 2011, l’eliminazione del leader della Libia, Muʿammar Gheddafi. Sono stati tutti accompagnati da argomentazioni di apparente buonsenso, che suonano così: i regimi dittatoriali non rispettano i diritti umani e vanno quindi rovesciati, una volta che questo obiettivo viene raggiunto si stabilisce un nuovo ordine in cui i popoli prosperano e i diritti delle persone vengono ripristinati.
A questo tipo di argomentazioni, all’interno dell’opinione pubblica occidentale c’è sempre stata una opposizione che ha ribattuto che gli obiettivi delle guerre erano altri, ben meno nobili. Lì e allora, o meglio, nell’eterno qui e ora, la cosa era oggetto di contesa. Oggi la fotografia impietosa dei diritti regolarmente conculcati nelle aree che sono state oggetto di esportazione di democrazia renderebbe la contesa vana, tanto la realtà risulta pietosa ed evidente. Ma nell’eterno qui e ora il prima non esiste. Quindi non esiste verifica delle ipotesi, non esiste sottoposizione a validazione alcuna. Si passa di emergenza in emergenza, e l’emergenza non ammette filosofeggiamenti.
Così, siamo arrivati all’oggi, quando l’emergenza è costituita dal governo dell’Iran, che non rispetta i diritti umani e che starebbe sul punto di dotarsi della bomba atomica.
La deformazione scaturita da anni di squilibrio è che all’attacco all’Iran si è arrivati senza più neanche dotarsi della foglia di fico della legalità internazionale, e senza che neanche si senta il dovere di fingere di rispettare la classicità degli atti di guerra. Un paese, già impegnato nello sbriciolare le case dei suoi dirimpettai e nel farli morire di stenti, decide di bombardarne un altro. Ad esso si accoda il suo alleato più grande, governato da un presidente che pare uscito da un film western fatto male (anche questo è frutto della deformazione progressiva). Punto. Non c’è più bisogno di risoluzioni, dibattiti, confronti internazionali nelle sedi che un tempo furono considerate opportune.
A tutto ciò si accompagna una recrudescenza di un pezzo di opinione pubblica. Qualche giorno fa l’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ospite di una trasmissione televisiva, ha qualificato l’attacco di Israele all’Iran come un atto di terrorismo proprio perché al di fuori di qualsiasi parvenza di legalità che fino a qualche tempo fa è stata comunque ritenuta necessaria. L’intervento è stato postato sui social dalla rete che lo aveva ospitato e la stragrande maggioranza dei commenti non si soffermava sul confutare la tesi di Bertinotti ma gli negava il diritto di parlare tout court a causa di un suo presunto discutibile passato.
Ecco, siamo al di fuori di una logica che a sua volta porta in una terra di nessuno dove non ci sono più codici per dialogare. Siamo impotenti nell’impotenza.
Ma c’è rimasto almeno il diritto di scriverlo, fino alla prossima deformazione, quando anche quel diritto verrà conculcato in base chissà a quale presunta verità che governerà il lì e l’allora, che non sarà altro che una riedizione del qui e ora, incubo perenne.