La manifestazione di Roma per Gaza del 7 giugno 2025
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Una giornata di sole

 

Dopo un’indecisione che ha caratterizzato la prima mattinata, con Paola decidiamo di rinunciare alla macchina e di affidarci alle ruote ferrate del treno, che spot promozionale vuole si debba considerare amico. Decidiamo di portare con noi i libri per passare con impegno spensierato l’oretta che separa Terni da Roma Tiburtina, Roma Termini sembra off limits. Lei con Borges, io con un libro scritto a otto mani sull’urgenza impellente del reddito di base. Non andiamo a Roma per divertimento, ma per partecipare alla manifestazione – che nel definirla tardiva si incapperebbe in un eufemismo immerso nell’ipocrisia – indetta da parte delle opposizioni per dire basta alla mattanza di Gaza, per esprimere un grido seppur impotente di dolore di fronte alla sistematica distruzione perpetrata dall’esercito israeliano nei territori palestinesi, per emettere un lamento indignato davanti a una strage pianificata, alimentata dall’indifferenza, se non dalla solidarietà di gran parte dell’Occidente.

Si sa, le democrazie odierne tendono a legittimare le proprie azioni, anche quelle più riprovevoli, anche quelle che di democratico nulla hanno, con la superiorità morale dovuta al fatto stesso di essere tali (democrazie). Se il governo di destra di Israele, la cui sopravvivenza è legata a doppio filo alla necessità di rimanere in uno stato di guerra permanente – o meglio in uno stato di vendetta unilaterale in cui non si hanno contendenti che combattono, ma un esercito che distrugge e uccide e una popolazione che o vive di fame e stenti o muore – continua imperterrito a perpetrare quello che il diritto internazionale definisce genocidio, lo si deve al fatto che tutto è iniziato con l’attacco di Hamas, che tutto è dovuto alla presenza di ostaggi nelle mani di Hamas, che ogni critica al governo israeliano non è legittima ma sfocia nell’antisemitismo più becero, che Israele è l’unica democrazia e i palestinesi sono terroristi di Hamas. Insomma la democrazia è democrazia e in quanto tale tutto può, i palestinesi sono governati dal fanatismo di Hamas e ogni cosa devono subire.

La striscia di Gaza in realtà non esiste più di fatto se non sotto la forma indistinta di un infinito cumulo di macerie, i palestinesi sopravvissuti vivono in uno stato di indigenza totale in cui mancano i beni di prima necessità, la cui distribuzione saltuaria diventa ennesimo pretesto di operazione militare e di morte. I palestinesi morti non hanno un numero preciso per quanto spaventoso, ma una conformazione così eterogenea da non risparmiare proprio nessuno, né l’innocenza dei bambini, né la fragilità degli anziani, né lo stato civile di donne e uomini. Insomma con la scusa della caccia ai terroristi di Hamas il governo israeliano attraverso il suo esercito ha fatto conoscere al mondo intero il vero volto della sua democrazia e l’impassibilità del mondo intero ha di fatto riconosciuto al governo israeliano il diritto di rivendicare quel volto a nome dell’intero Occidente.

È la prima manifestazione di carattere nazionale che si svolge dopo l’entrata in vigore del decreto legge sicurezza, un abominio che investe il diritto e la costituzione tanto per la forma decreto scelta dal governo, quanto per i contenuti che esso contiene. A tal proposito estrapolo parte dell’appello pubblicato da 257 giuspubblicisti di tutte le università italiane: «Insegniamo che la missione di chi governa dovrebbe essere quella di cercare un equilibrio nel rapporto tra individuo e autorità. Invece, il filo che lega il metodo e il merito di questo nuovo intervento normativo rende esplicito un disegno complessivo, che tradisce un’impostazione autoritaria, illiberale e antidemocratica, non episodica od occasionale ma mirante a farsi sistema, a governare con la paura invece di governare la paura». Laddove non si ha un nemico demonizzabile, come Hamas nel caso del governo israeliano, le destre al comando tendono a trasformare sistematicamente in senso autoritario la democrazia aumentando populisticamente le pene e moltiplicando con algoritmico classismo i reati, rendendo il governo sempre meno controllabile e riducendo a sottomissione ogni organo deputato all’equilibrio di potere.

La giornata si preannuncia calda sin dal mattino, ma la presenza di un vento ristoratore fa ben sperare, orario di partenza 11.52. Il binario 2 è sufficientemente affollato, arriviamo con anticipo e iniziamo sulle panchine della stazione a leggere i nostri libri, il treno stranamente è in perfetto orario, così con incredulità ci apprestiamo, libri in mano, a salire. Il treno sarà pure in orario, ma non ha nulla di treno e tutto di carro bestiame, i posti a sedere tutti occupati e file di umani sconsolati in piedi tanto nelle carrozze quanto nei punti di transito. I libri vanno immediatamente nello zaino. Far comprendere ai turisti stranieri la situazione è impossibile, il piccolo finestrino aperto – siamo giocoforza nello spazio di salita e discesa – è l’unico spiraglio di asfittico benessere. Poi l’incontro con un vecchio compagno diretto alla manifestazione, con cui il riconoscimento reciproco non è stato poi così immediato: il passare degli anni è impietosa legge che non risparmia nessuno, una piacevole probabilità in un viaggio di imprevisti.

A Roma è caldo, ma il vento rende tutto più agevole, da Tiburtina al piazzale del Verano, poi San Lorenzo e infine piazza Vittorio, una passeggiata di salute. Quando arriviamo, con anticipo rispetto all’orario di partenza, notiamo oltre alle bandiere di partito (dal Pd ai 5 stelle, passando per Avs e Psi) le tante bandiere palestinesi. Incontriamo amici partiti da Terni con il treno successivo al nostro e con loro scambiamo bottigliette d’acqua e opinioni. Ci colpisce l’età media non certo bassa, una vivacità diffusa, canti di resistenza e cori di indignazione, ma soprattutto una presenza più di singolarità autorganizzate, che di gruppi portati dai partiti come succedeva una volta. Insomma, come noi molti altri sono lì per la Palestina e non per i partiti che questa manifestazione hanno indetto, e questo ci fa sentire decisamente a nostro agio, ci consegna una fiducia che credevamo di non avere e una speranza che pensavamo di non poter alimentare. Quello che non riusciamo bene a comprendere invece sono i numeri, non abbiamo contezza immediata della quantità di corpi, lo scopriamo quando in mezzo a via Vittorio Emanuele guardando avanti e rigirandoci indietro capiamo che l’intera via è popolata da manifestanti che alternano il grido assassini con la rivendicazione della Palestina libera senza il rossa come si faceva un tempo.

Paola scatta foto d’insieme a lungo raggio e primi piani d’impatto cercando di cogliere quantità e qualità, numeri e umori, sorrisi e rabbia. Tutti risultano sorpresi dalla riuscita della manifestazione, come se l’ottimismo della volontà avesse fatto stracci del pessimismo della ragione. Non entriamo in piazza San Giovanni, che incredibilmente risulta gremita, ci fermiamo alla fine di Via Vittorio Emanuele rinunciando all’ombra per goderci non le parole degli oratori ma la pienezza della piazza, non i proclami tardivi che denunciano vergogna, ma una moltitudine che rifiuta di starsene con le mani in mano di fronte al precipitare delle cose. Un conto è l’impotenza, un altro l’indifferenza. Nel frattempo arrivano i giovani democratici che non si limitano alla classica Bella ciao, ma cantano Fischia il vento.

Soddisfatti per la bella giornata di sole romana, prendiamo la via del ritorno rifacendo i medesimi passi dell’andata in senso contrario. Il treno questa volta risulta essere tale, e i posti a sedere non sono un miraggio. Decidiamo di mantenere i libri nello zaino, abbiamo le foto da guardare, la stanchezza da gestire e un inaspettato entusiasmo da condividere nell’immediato, visto che l’annunciato deserto delle urne referendarie della domenica e del lunedì ci farà tornare con i piedi ben piantati nella terra della democrazia autoritaria che vede le piazze come un incubo e le urne come un optional. E di questo dobbiamo parlare, questo stato di cose dobbiamo cambiare, senza attendere, con una fiducia che non ha ragione di essere, le prossime elezioni.

Foto di Paola Giorgi

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