A cinque mesi ormai dalla salita al potere di Donald Trump, destano noia le lamentazioni per i suoi eccessi che arrivano a ogni nuovo e pressoché quotidiano spostamento di asticella verso il basso del presidente degli Stati uniti. Se si escludono i contenuti prodotti da chi lo sostiene, gli articoli e le posizioni che lo riguardano si possono sommariamente ricondurre a due tipologie: quelli che tentano di analizzare le ragioni e le motivazioni profonde della sua politica e quelli che esprimono riprovazione per i suoi modi. Ai primi va riconosciuto il merito di cimentarsi con la realtà delle cose; i secondi non sono altro che la ripetizione di cliché che servono a far sentire meglio di lui chi li scrive e chi li legge specchiandovisi. Intendiamoci: scandalizzarsi verso l’immondo che Trump introduce con regolarità nel discorso pubblico è quasi doveroso. Il problema è che se si rimane lì non si fa un passo in avanti.
Rimane scoperta da entrambe le tipologie di letture del fenomeno Trump l’analisi del perché e del come si sia arrivati a Trump. E qui il discorso si allarga. Perché le lordure costituite dal video su Gaza che diventa Trumpland nel momento stesso in cui a Gaza si muore di bombe e di stenti, il trattamento riservato in diretta mondiale al presidente dell’Ucraina, il presunto e letterale baciaculo millantato da egli stesso nei suoi confronti da parte dei leader mondiali che desidererebbero trattare per mitigare l’effetto dei dazi, la pubblicazione sui canali social ufficiali della Casa Bianca dell’immagine che lo ritrae vestito da Papa nel momento in cui ci si appresta al conclave; tutte queste lordure, dicevamo, sono state accompagnate dall’ascesa di Milei in Argentina, di Bolsonaro in Brasile e dalle candidature di personaggi qua e là per il mondo – fino a scendere al nostro Bandecchi – che avremmo considerato personaggi da commedia dell’arte solo fino a qualche anno fa.
Non è in discussione qui il cosa questi personaggi propugnino e facciano, bensì il come lo trasmettono. Ma al tempo stesso e al contrario di quanto si potrebbe pensare, non è di forma che stiamo parlando ma di sostanza. Perché il continuo scivolamento verso il basso che il linguaggio e gli atteggiamenti di questi personaggi producono è al tempo stesso frutto di una sorta di modificazione delle costituzioni materiali delle democrazie occidentali e origine di una ulteriore distorsione di civiltà.
Trattandosi di una questione enorme e dalle mille implicazioni, sgomberiamo il campo dagli equivoci: non è con un articolo come questo che si possa risolvere la cosa. Quello che interessa qui è piuttosto dirigere l’attenzione verso aspetti che pur essendo a nostro parere di una certa importanza, sono seppelliti dalle lamentazioni per la maleducazione che costituiscono al tempo stesso un alibi per sentirsi migliori e una riduzione del problema a una questione di galateo.
La nostra ipotesi è che le radici del germogliare di caricature democratiche come quelle che abbiamo menzionato siano profonde e abbiano a che fare in prima battuta con la scomparsa di elaborazioni di visioni del mondo che nel Novecento hanno fornito un senso alle masse che si sono affacciate alla vita pubblica e che nei precedenti secoli di storia dell’umanità ne erano rimaste escluse. Le visioni supportate da un’analisi della realtà hanno per decenni fornito alle persone delle mappe per orientarsi. I grandi partiti di massa che quelle visioni tentavano di tradurle in pratica hanno fatto da scuola e da selezione di classi dirigenti le quali venivano in qualche modo coltivate. Di tutto questo è intrisa la storia del Novecento, anche quella di gruppi minoritari che pur non essendo di massa conservavano comunque l’ancoraggio a una visione generale.
Tutto ciò è stato una sorta di di educazione alla civiltà. L’evaporazione di queste letture, lo sbiadimento di queste mappe per l’orientamento, ha avuto le stesse conseguenze per le masse, il popolo o comunque lo si voglia definire della crescita di un neonato allo stato brado. Sono venuti meno cioè, per ciò che concerne la vita pubblica, sia l’educazione all’orientamento, sia il contenimento degli istinti. Ci siamo ritrovati e ritrovate – novelli neonati e neonate – senza nessuno che ci trasmettesse l’insegnamento di come ottenere un obiettivo in maniera civile o che ci dicesse che defecare in pubblico, nonostante se ne possa avere l’istinto, è pratica da evitare. La conseguenza è che vengono elette persone il cui turpiloquio istituzionale è una sorta di defecazione pubblica, e che non derivano da alcuna scuola o selezione.
A questo punto va aperta una parentesi. La storia del Novecento è stata segnata da visioni del mondo che hanno provocato tragedie inedite nella storia dell’umanità. Ma superate queste, e presa coscienza della loro disumanità, il genere umano è riuscito per decenni a far scorrere via l’acqua sporca (la violenza volta al genocidio e all’eliminazione sistematica degli avversari) salvaguardando il bambino (la visione del mondo pubblico e una mappa per orientarvisi).
Ora, non si sta perorando qui l’irregimentazione delle idee. Quello che si sta cercando di argomentare è che essendo animali sociali, condividere o anche confliggere sulla base di visioni e idee dalle quali magari successivamente anche discostarsi per presa coscienza in maniera civile ha aiutato a vivere in maniera civile scongiurando per un bel po’ la regressione alla defecazione pubblica cui si assiste oggi.
A questo siamo arrivati perché a un certo punto l’unica visione e narrazione sopravvissuta nell’immaginario collettivo in maniera egemonica è stata quella che si è originata dalla celebre massima di Margaret Thatcher, che nel cuore degli anni Ottanta del secolo scorso sentenziò che «la società non esiste, esistono solo gli individui». Da lì in avanti è stato un succedersi di corollari a questo teorema: essere imprenditori di se stessi ne è forse il più fortunato e degenerante. Alle visioni generali e confliggenti sostenute collettivamente cioè, si è sostituito il peregrinare individuale alla ricerca di fortuna personale con tutto ciò che ne consegue. Sull’individuo si sono caricate tensioni derivanti dall’assetto pubblico, perché la società, nonostante la Lady di ferro esiste e produce conseguenze sui singoli; solo che negandolo, l’assetto pubblico, si consolidano le peggiori conseguenze che esso produce. E ognuno si è ritrovato orfano di un’educazione al pubblico e in balìa dei suoi istinti.
La polarizzazione estrema, gridata, sguaiata e al tempo stesso drammaticamente superficiale che riduce tutto a un eterno derby calcistico, l’incapacità anche solo ad analizzare le ragioni dell’altra parte, la messa in discussione del parere di esperti che studiano i problemi da una vita sull’altare di una supposta relativizzazione che poggia come una pietra sull’acqua; la ricerca di un’opinione prima di farsi un’idea; sono tutte facce di questa drammatica individualizzazione, perdita di bussole, mancanza di educazione pubblica che porta grottescamente ad avere atteggiamenti guerreschi entrambe le parti che ritengono di avere le ricette per far terminare la guerra in Ucraina o ad accettare lo sbriciolamento di Gaza come se si trattasse di uno dei tanti conflitti locali.
Questo affrancamento da qualsiasi binario che viene spesso contrabbandato per passo in avanti verso la libertà, appare invece come una regressione verso lo stato di natura in cui vige la legge del più forte, il quale si scioglie da qualsiasi vincolo. È così che maturano le metaforiche defecazioni in pubblico di personaggi emersi dal nulla prodotto dall’individualizzazione esasperata. Essi non a caso rivendicano di essersi fatti da sé. E infatti si vede, che si sono fatti da sé, privati dell’educazione allo stare in pubblico e del senso del pudore e della vergogna, che non sono ipocrisia ma costituiscono piuttosto forme di difesa della nostra umanità, un costrutto per mantenere uno stare insieme che salvaguardi la civiltà che ci ha insegnato a non defecare in pubblico. Sono nati così e raccolgono i frutti democratici dell’essere così, figli del loro tempo.
Perché è importante tutto questo, a nostro parere? Perché si sta producendo una modificazione profonda dell’immaginario collettivo che è forma, ma produce sostanza. Pensate a cosa può voler dire per un adolescente sentire il presidente della maggiore potenza mondiale descrivere leader di altri paesi come aspiranti baciaculo. O ascoltargli dire che potrebbe anche essere costretto a non tenere conto della Costituzione del suo paese. Pensate a cosa può voler dire per quegli occhi che si affacciano oggi alla vita pubblica vedere letteralmente polverizzata una terra in cui sono morte decine di migliaia di civili (civili) in un anno e mezzo nella pressoché planetaria indifferenza. Vuol dire che la perdita delle visioni, cantata come fine delle ideologie dall’unica ideologia rimasta in piedi (quella della società che non esiste) oltre ad aver prodotto solipsismo, rischia di devastare il futuro.
Non sarà quest’articolo a salvare le sorti del mondo. E le letture della realtà condivise e basate sullo studio della realtà stessa non si producono o ripristinano con uno schiocco di dita. Però noi è qui che stiamo. E Trump e i suoi epigoni sono il frutto di tutto questo, non un accidente della storia.