Due lottatori
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Cortocircuito sovranista

 

La regola non scritta che sottende e sovrasta i rapporti tra i sovranisti di ogni ordine, luogo e grado sembra essere: quando il sovranista alfa ruggisce il sovranista omega squittisce. La difesa strenua dei confini geografici che coincide, come per ogni buon patriota, con la tutela degli interessi di una nazione-popolo che fa della terra sangue e del sangue terra, va applicata sempre e solo contro i nemici dichiarati, spesso inermi spiantati la cui pericolosità presunta costruita a tavolino viene alimentata con soffi continui di propaganda crescente e demagogia smisurata. Quando a mettere in discussione gli interessi del popolo-nazione è il sovranista più sovranista di tutti, che come da decalogo mette avanti a ogni cosa il bene dei propri connazionali, tacciando il resto del mondo di parassitismo e ladroneria, il discorso cambia tanto che le urla si fanno bisbigli e l’integerrima lotta contro il male si trasforma in compiacente comprensione dell’amico che forse sbaglia, ma neanche troppo.

Se fino a ieri i sovranisti utilizzavano il riferimento temporale del prima – facendo seguire l’avverbio di tempo dal nome della propria nazione, regione, provincia, città, rione – oggi quella temporalità con diritto di precedenza si è fatta qualità con pretesa di grandiosità. Quel prima è stato sostituito con il grande, mentre è rimasto inalterato l’amletico intrecciarsi dei rapporti sovrani: come far convivere le rispettive pretese di primato e di grandezza? Facile, anzi scontato: quale miglior forma di diritto se non la legge della giungla?

Insomma la lega dei sovranisti, che rivendicando sovranità diffusa e capillare altro non fa che minare alle basi ogni principio federativo in grado di superare la logica ristretta dei confini (bye bye Europa), allinea marziale i propri aderenti secondo la metrica lineare dei rapporti di forza che si fa gioco della ragione (dei più deboli e non solo) e fa carta straccia di ogni principio di equità.

La vicenda dei dazi, a cui la storia ha sempre risposto con dei contro-dazi, mette l’occhio di bue sull’ipocrisia patriottica, e al tempo stesso mette a nudo la filiera di comando verticale dei sovranisti. La nostra presidente del Consiglio, nota teatrante del disprezzo mimico e della gogna urlata, di fronte all’imposizione dei dazi con percentuale asimmetrica e suddivisione merceologico-geografica, invece di urlare inviperita e tarantolata contro chi ha di fatto messo in discussione realmente (altro che i migranti e il loro disperato bisogno di aiuto) gli interessi del made in Italy chiama tutti a ragione, vestendo i panni del pontiere moderato che vuole la salvezza e l’unità dell’occidente.

Una Meloni versione Veltroni (si, ma anche no), ha messo da parte ogni battagliero patriottismo per sventolare la bandiera bianca della resa patteggiata. Dal presupposto: è uno sbaglio, ma non una catastrofe, alla postfazione: facciamo di necessità virtù e della sottomissione diplomazia. La politica demandata totalmente alle relazioni interpersonali e la ragion di stato ridotta al: pesce grande mangia pesce piccolo in una versione tascabile del peggior sovranismo ittico.

Siamo andati oltre la nudità del re per entrare nel fantastico mondo del picchia il debole inerme porgi l’altra guancia al potente prepotente. Nel frattempo l’amico Orban, quinta colonna di Putin in Europa, ospita con tutti gli onori del caso il ricercato Netanyahu, dichiarandosi tutore per eccellenza degli ebrei e nemico giurato del diritto internazionale considerato lobby di potere multiforme e spregiudicata. I più alti rappresentanti del sovranismo democratico, impastato di disprezzo verso i contrappesi sistemici e di odio verso i nemici da ridurre a ragione attraverso l’esercizio della guerra, sembrano irridere, dalle colline di Buda e dalle pianure di Pest, la traballante Europa stretta tra un suicida riarmo su base nazionale per difendersi dallo zarismo di ritorno e un’impotenza malcelata di fronte al neo-imperialismo protezionista trumpiano.

In Italia, traballante tra i traballanti e retroguardia tra i sovranisti, sabato 5 aprile in piazza si prova a dare concretezza materiale e prospettiva politica all’alternativa tanto al riarmo generalizzato europeo, quanto alla sudditanza sovranista italiana. Un flebile segnale di resistenza che convive giocoforza con un marketing politico-elettorale che onnivoro fagocita ogni cosa. Una prova di piazza coraggiosa che merita di essere innervata con contenuti molteplici di pace e giustizia sociale, una pace dalla diplomazia multilaterale che vada oltre la miopia dell’occidente attuale e una giustizia sociale che faccia della tutela della fragilità e dell’universalità cardini insostituibili. Se ieri i corpi erano costretti e le merci libere di circolare, oggi i corpi sono imprigionati e le merci condizionate da barriere mobili fatte di formule strampalate. Insomma non c’è mai peggio al fine, ma è arrivata l’ora di rivendicare uniti ed eterogenei la fine del peggio.

Foto da picryl.com

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