La scena internazionale è cambiata al punto tale da essersi capovolta, per molti versi. E per di più questo è successo nel volgere di qualche settimana. In una situazione del genere ci sono sicuramente dei punti fermi da mantenere. Ma al tempo stesso occorre riadattarsi, mentre la tentazione, favorita anche dal disorientamento causato dalle continue e impressionanti novità, potrebbe essere di rifugiarsi nella propria comfort zone, cosa che rischia però di mandare fuori tempo.
Il punto fermo per la parte di chi cova da decenni un senso di frustrazione nei confronti del super potere degli Stati Uniti che ha condizionato tutto l’occidente dal dopoguerra in avanti, è di cercare un minimo di autonomia. Le novità intervenute, se còlte, potrebbero favorire quella ricerca.
Se fino a due-tre settimane fa il cordone che teneva legati Europa e America e Stati Uniti era difficilissimo da allentare, oggi è proprio dalla condotta del nuovo governo nord americano che arriva una spinta decisiva per l’Europa a tentare di affrancarsi. Garantendo di fatto l’ombrello della difesa di questo continente, gli Stati Uniti hanno potuto dirigere in questi decenni la condotta dei paesi al di qua dell’Atlantico, costretti in ultima istanza a giocare il ruolo dei fedeli alleati, cioè a eseguire le politiche dettate da Washington proprio in cambio della protezione che ha saldato l’alleanza e ne ha sancito i rapporti di forza. Le prodigiose giravolte di Trump su Nato, spese militari, dazi e rapporti russo-ucraini danno all’Europa la possibilità di uscire dallo stato di minorità e diventare adulta. Ciò non sarebbe il frutto di uno strappo dovuto a un improbabile atto di coraggio dei governi europei o della stessa Ue, ma al contrario della rinuncia al ruolo da parte di chi fino a oggi ha esercitato una sorta di patria potestà sull’Europa, gli Stati Uniti di Trump, appunto. Si tratta di uno scenario che alleggerisce in qualche modo la posizione dell’Europa stessa, che se lo facesse agirebbe per una sorta di stato di necessità e non per una scelta politica fin qui difficilissima da compiere. E ciò potrebbe evitare la parte più aspra del rapporto dialettico che si aprirebbe tra est e ovest dell’Atlantico.
L’uscita dallo stato di minorità avrebbe un prezzo. La parte più cospicua di esso è costituita dalla necessità di dotarsi di un sistema di difesa autonomo e che per questo diventerebbe più costoso per l’Europa. La contropartita che se ne ricaverebbe consisterebbe nella possibilità di decidere quanto e come spendere e, soprattutto, di cominciare a giocare un ruolo più autonomo sul piano internazionale. Alla possibilità di diventare adulti, insomma, si accompagnano tutte le responsabilità che ne derivano. Tutto ciò ovviamente non potrebbe prescindere da una decisa accelerazione del processo di integrazione europea, che sarebbe al tempo stesso scaturigine e frutto del nuovo scenario. Se invece, di fronte alle impensabili novità intervenute l’Europa continuasse a perdersi in bizantinismi, sovranismi, tentazioni da parte degli stati nazionali di fare da sé, si condannerebbe probabilmente alla sparizione come entità politica e a un ruolo di vassallaggio giocato in ordine sparso all’insegna del si salvi chi può.
Nel nuovo scenario insomma, la questione non è più quale Europa, da poter affrontare con i tempi lunghi che il vecchio assetto consentiva. Il tema da porre oggi è semmai Europa sì o Europa no. Ed è da guardare in faccia con decisione e sollecitudine; per di più con l’aggravante che esse siano sicuramente necessarie ma forse non sufficienti.
Uscire dalla propria comfort zone significa smettere di considerare un tabù l’aumento delle spese militari, a differenza di come si è fatto finora nel vecchio scenario, in cui ciò aveva un senso. E significa anche accettare il fatto che oggi la linea di demarcazione non è tra europeisti solidali ed europeisti competitivi, liberisti o come altro li vogliamo definire. Adesso la divisione è tra europeisti e non europeisti. Le accelerazioni di Trump hanno in un certo senso portato indietro a una situazione pre-politica o pre-schieramenti. Nel 1946, in Italia, prima di dividersi tra comunisti, socialisti, democristiani, repubblicani e liberali, ci si è divisi tra monarchici e repubblicani. Quando si è dovuto votare per il referendum non ci si è attardati a dividersi sull’Italia repubblicana che si sarebbe desiderata, bensì sulla necessità di liberarsi preliminarmente della monarchia. Durante il Risorgimento chi combatteva per l’unità non si è diviso sull’Italia che avrebbe voluto, ma lavorava insieme per costruire la cornice Italia all’interno della quale poter poi operare.
Le complicazioni sono al massimo grado e il cammino, se dovesse essere intrapreso, non sarà privo di inciampi: degli stati nazionali, della storia, dei conflitti e degli interessi che hanno accumulato nei secoli non ci si libera per grazia divina né velocemente. Non sappiamo se ci siano le condizioni e il tempo per tentare la via dell’integrazione e dell’uscita dallo stato di minorità, ma di certo si tratta di una scelta quasi obbligata. Per questo l’idea della manifestazione per l’Europa lanciata da Michele Serra ha il senso profondo del mettersi in linea con una storia che sta cambiando repentinamente e che pur nella sua drammaticità ci dà una possibilità inaspettata.
Che ci sia un’opinione pubblica cosciente di tutto questo, disposta a prendersi delle responsabilità uscendo da luoghi comuni che rischiano di diventare trappole; che questa opinione pubblica si manifesti facendo da sprone per governi e partiti dei paesi europei, sarebbe salutare anche per un altro motivo. L’Europa, pur tra le mille contraddizioni della storia, è stata la levatrice dello stato di diritto; l’habeas corpus è stato concepito qui. I valori di libertà e giustizia sociale e il loro essere interconnessi affondano le radici in questo continente, che se scomparisse dalla scena internazionale – perché il rischio oggi è di diventare ancora più irrilevante di quanto lo sia adesso – lascerebbe l’umanità senza un pezzo importante di evoluzione compiuta.
Sarebbe bello, infine, nel nostro piccolo, se le maggiori istituzioni rappresentative di questa regione, a partire dalla Regione stessa e dai principali comuni, magari a cominciare da quello capoluogo, decidessero di aderire alla manifestazione, che è stata convocata per il 15 marzo a Roma. Sarebbe bello se un pezzo di opinione pubblica regionale si manifestasse. Non produrrebbe effetti immediati, ma sarebbe un bel segnale.
Dalla minorità all’inconsistenza. Pensare che con le scelte di Trump si apra la possibilità di una autonomia europea e ‘ pura illusione con i gruppi dirigenti sia democristiani che socialisti.La virata degli USA guarda alla Cina ed al Pacifico. Noi dovremmo guardare al Mediterraneo e all’Africa abbandonando al proprio destino Francia e Germania che da decenni ci fanno la guerra. Guardare poi alla manifestazione del 15 a piazza del Popolo come un segnale per avviare virtuosi processi politici per l’autonomia europea mi sembra fuori dalla realtà. Però , giustamente, ognuno ha la propria.
Permettimi, noto delle incongruenze. Se è “fuori dalla realtà” che i gruppi dirigenti “democristiani e socialisti”. come li definisci, aprano un processo di “autonomizzazione” dell’Europa dagli Usa – che nel nuovo scenario trumpiano stanno cambiando pelle e modo di interloquire nei confronti dell’Europa – è forse realistico pensare a un’Italia che qui e ora manda al diavolo Francia e Germania per abbracciare l’Africa? E poi: siamo proprio sicuri che nel nuovo scenario non si aprano invece per l’Europa possibili nuovi modi di interloquire proprio con la Cina? Nell’articolo sostengo che il nuovo scenario potrebbe portare conseguenze inedite e che occorrerebbe cercare di coglierle. Potrebbe. Condizionale. Invidio molto chi coltiva sicurezze che non ho. Anche se tempi di così immani cambiamenti consiglierebbero forse maggiore cautela nel considerare le nostre idee di mondo come le più efficaci: il mondo al quale eravamo abituati ci sta franando sotto i piedi.