L’articolo 33 della Costituzione dice che «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, ed è questo articolo che ha guidato Tomaso Montanari nello scrivere “Libera università” (Einaudi). Un saggio nato per difendere la loro autonomia e libertà dalla volontà di trasformare le università in luoghi del controllo del dissenso al punto che il governo di destra che abbiamo prevede la possibilità di stipulare convenzioni con i servizi di sicurezza per ridurre, come scrive Montanari, «il più importante serbatoio di pensiero critico in stato di dipendenza e mendicità, cioè di sottomissione». Ma ci sono anche altri modi per ottenere questi obiettivi. Per esempio con il proliferare di università telematiche, per le dimensioni raggiunte «un anomalia solo italiana» che ha come scopo non la cultura e la ricerca ma il profitto dei proprietari che non si preoccupano di formare cittadini ma di vendere a clienti. Università dove ci si può laureare senza mai mettere piede in una università, funzionali a un potere che odia il dissenso perché con esse è impossibile che si formino comunità studentesche in grado di esercitare qualsiasi tipo di pensiero collettivo.
Le università sono il motore dell’ascensore sociale, dell’innovazione, del progresso e del pensiero critico. Difendere questi luoghi anche quando appaiono torri d’avorio da chi li vorrebbe asservire e il loro bisogno d’essere libere è difendere la democrazia. E “Libera università” è un atto di fiducia verso chi al loro interno adempie a questo ruolo e di fede verso l’università pubblica come luogo del conflitto, della ricerca associata alla didattica, dell’esercizio del pensiero critico e non controllabile.
Un «salutare pericolo» per ogni potere che voglia calpestare questo indispensabile contrappeso culturale la cui autonomia non serve alla casta universitaria ma è indispensabile alla democrazia e ai nostri giovani, come dimostrano le università dell’Iran in prima linea contro il regime. È per questo che i professori universitari dovrebbero sentire il dovere d”esercitare fino in fondo la propria libertà intellettuale ricordando che il loro dovere non si esaurisce nelle aule e nelle biblioteche ma continua nel parlare ovunque anche fuori di esse fornendo idee, strumenti, pensieri.
Le università non sono né caserme né prefetture cui far pervenire disposizioni governative ma autonome comunità reali e non virtuali dove si ha ancora la possibilità di vedersi e confrontarsi faccia a faccia, che hanno un proprio progetto formativo educando alla cittadinanza, puntando allo sviluppo della persona umana, aiutando a capire «la vita e la mente degli altri», diventando necessarie a tutte e tutti, anche a chi mai metterà piede in una università.
Per questo motivo c’è solo da sperare che il piccolo libro di Montanari venga letto da professori e professoresse, studenti e studentesse, cittadini e cittadine. E che siano numerose le presentazioni di questo libro nelle università: un’istituzione capace ancora di rivolgersi al mondo e – se lo vuole – ancora in grado di contribuire a cambiarlo in meglio. A partire da sé stessa, mettendo in discussione l’università com’è oggi, frutto di scelte politiche scellerate e di una diffusa acquiescenza al suo interno; anche perché se deve essere maestra di pensiero critico questo, prima di tutto, l’università deve esercitarlo su sé stessa.