Secondo la lettura degli studiosi di flussi elettorali, l’alto livello di astensionismo registrato nelle ultime elezioni regionali in Umbria ha penalizzato principalmente il centrodestra, che infatti le elezioni le ha perse. Si tratta di un’analisi coerente, supportata da strumenti raffinati, che peraltro coincide anche con il buon senso. È però al tempo stesso una analisi congiunturale, che ci restituisce cioè alcune delle ragioni del fallimento della destra arrivata al governo dei principali comuni dell’Umbria e della stessa Regione in questi ultimi anni. Concentrarsi su questo scorcio è utile insomma per comprendere il giudizio degli elettori nei confronti di un governo, regionale o comunale che sia. Ma non aiuta a comprendere la profonda trasformazione della società regionale, i rapporti di questa con la rappresentanza nelle istituzioni, che rimangono il convitato di pietra che accompagna le elezioni; l’elefante nella stanza che si finge di non vedere, o si è incapaci di scorgere. Anzi, il tentativo di comprensione rischia addirittura di essere fuorviato. Perché la parte più colpita dall’astensionismo di lungo periodo in Umbria non è la destra.
Per tentare di comprendere il fenomeno, può essere utile concentrarsi sulle elezioni politiche del 2006 e confrontare i risultati di quella tornata con quelli odierni. Perché il 2006? Si tratta ovviamente di una scelta arbitraria, ma con delle sue ragioni, che vanno illustrate. Quello è un anno spartiacque: il sistema maggioritario e i nuovi partiti nati con esso – la cosiddetta seconda Repubblica – sono ormai consolidati da oltre venti anni. Al tempo stesso, non si è ancora abbattuta sull’Occidente la tempesta della crisi originata dalla bolla immobiliar-finanziaria statunitense e, per quanto riguarda l’Italia, non c’è ancora il M5S, un movimento che “inquina” l’analisi, dal momento che nel corso degli anni ha cambiato numerose pelli. Il 2006 insomma, ci restituisce un’immagine dei blocchi di rappresentanza politica come erano stati più o meno per decenni.
Se allora si confrontano le elezioni politiche di quell’anno con le Regionali del 2024, il risultato è che mancano all’appello 234.856 elettori. E si rileva anche che rispetto a quella consultazione elettorale il centrosinistra ha perso 155 mila elettori, mentre l’emorragia del centrodestra si è fermata a -85 mila. Già solo questo metaforico filmato, che restituisce la realtà nel suo cambiamento, risulta assai poco consolatorio rispetto alla fotografia che blocca l’attenzione sull’oggi. Il centrosinistra ha perso per strada il 46 per cento dei consensi. Cioè: quasi un elettore su due di quelli che votavano per quella coalizione è scomparso, mentre il centrodestra contiene le perdite al 34 per cento. A fare le spese di questa progressivamente crescente renitenza alle urne è il Pd, certo, che nel 2006 si era presentato agli elettori ancora in embrione – come Ulivo – e aveva raccolto quasi 230 mila voti, mentre oggi, nelle vittoriose Regionali, si ferma a 97 mila (-57 per cento). Ma il tonfo più eclatante è quello della cosiddetta sinistra radicale, che nelle sue varie articolazioni (Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Verdi) raccoglieva meno di vent’anni fa oltre 74 mila consensi in Umbria, e oggi si blocca ai 13.750 di Alleanza Verdi-sinistra. Vale a dire che otto persone su 10 di quelle che sceglievano quella parte politica le hanno voltato le spalle. Non c’era il M5S, nel 2006, ma si affacciava una proposta politica nuova che si proponeva di raccogliere il voto degli ancora relativamente pochi scontenti: era l’Italia dei Valori dell’ex pm Antonio Di Pietro, che però oggi viene surclassata dal M5S che, pur acciaccato, ne ha raccolto idealmente il testimone. E si tratta dell’unica area del centrosinistra che aumenta i consensi rispetto al 2006, quasi raddoppiandoli. È un exploit di così ridotte dimensioni in termini numerici assoluti però, che risulta pressoché insignificante se sommato ai dissanguamenti ben più consistenti delle sinistre tradizionali.
Il centrodestra del 2024 perde un elettore su tre rispetto al 2006. Pur essendo una performance preoccupante, testimonia come l’astensione abbia colpito molto di più il centrosinistra. In questo caso però, è interessante notare alcuni movimenti interni. Intanto, il piccolo successo dei centristi della destra alle ultime Regionali – successo se confrontato con i magri risultati delle ultime consultazioni – non compensa la montagna di voti persa in diciotto anni in Umbria. La galassia condotta da Forza Italia contava su quasi 147 mila consensi nel 2006, oggi è sotto i 42 mila (-71,5 per cento). Si tratta di un ridimensionamento che ha favorito la destrizzazione della coalizione, cioè la crescita di Fratelli d’Italia e della Lega. Anche in questo caso però, occorre cercare di guardare sotto la superficie: pure quell’area politica perde complessivamente voti in numeri assoluti, solo che rispetto alle altre ne perde percentualmente di meno (-14,8 per cento), e ciò restituisce l’immagine distorta di una parte in crescita. Non è così: c’erano 102.308 voti di destra-destra nel 2006 in questa regione, ce ne sono 87.148 oggi. La stessa formazione di Fratelli d’Italia, che oggi con oltre 60 mila voti è la prima della coalizione, raccoglie meno voti del partito dal quale origina: Alleanza nazionale nel 2006 era la seconda forza della coalizione ma raccoglieva quasi 90 mila consensi.
Sono questi i motivi per cui, si può serenamente affermare che l’astensionismo in Umbria sta colpendo di più il centrosinistra. Qundi, seppure comprensibile, l’entusiasmo per la vittoria da parte di quella coalizione dovrebbe adesso fare spazio all’analisi sulle cose da fare, e soprattutto su condotte e politiche da cambiare radicalmente, visto che quelle messe in atto hanno portato a ridurre di quasi la metà la capacità di rappresentare in meno di vent’anni. Se non lo si capisce, si continua a rimanere vittime di un’allucinazione che non di rado si trasforma in alibi per non affrontare la fatica di ragionare dell’elefante nella stanza. E si rischia di continuare a condannarsi all’autoreferenzialità da ceto politico, che magari ha garantito carriere e qualche privilegio, ma è stata il male che ha corroso dal di dentro l’esperienza del centrosinistra in Umbria.
Un ultimo punto: anche il fatto che le liste civiche in appoggio a Stefania Proietti abbiano raccolto molto più del doppio rispetto alla civica che appoggiava Donatella Tesei (35 mila voti contro 16 mila) testimonia una volta di più che nei confronti del ceto politico e dei partiti tradizionali del centrosinistra la fiducia è assai condizionata e tutta da riconquistare, tanto che non appena c’è la possibilità di votare qualcosa di non percepito come partitico, una quota consistente dell’elettorato di quell’area che non vota a destra ma guarda con qualche sospetto i partiti tradizionali non se la lascia sfuggire.
Ora, ci sarà sicuramente chi contesterà l’arbitrarietà della scelta del 2006 come paradigma di un confronto dal quale scaturisce un bilancio a tinte più scure che chiare per il centrosinistra umbro pur vittorioso. È chiaro che da diciotto anni a questa parte l’elettorato è molto cambiato, tra persone decedute, nuovi elettori e trasferimenti di residenza. Però, ancora nel tentativo di rendere chiaro lo sconquasso che c’è stato a livello di sistema, può essere utile un altro salto all’indietro, a diciannove anni prima del 2006. Bene: nel 1987 i rapporti tra le aree politiche in Umbria erano molto più simili a quelli del 2006 rispetto alla trasformazione che si è prodotta mentre si ampliava la voragine astensionista di questi ultimi vent’anni. Eppure tra il 1987 e il 2006 le modificazioni non erano mancate: Tangentopoli, la scomparsa di tutti i partiti che avevano scritto la Costituzione, il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario. Ecco, nel 1987 le sinistre raccoglievano quasi 275 mila consensi, in mezzo c’erano più o o meno altrettanti voti centristi-conservatori, quelli del cosiddetto pentapartito (Dc, Psi, Pri, Psdi e Pli). A destra, il Msi raccoglieva 35 mila voti. Se si accetta l’approssimazione che dopo il rimescolamento dovuto al cambio di sistema politico circa un terzo dei voti degli ex partiti di governo possano essere transitati verso il centrosinistra, si ristabiliscono all’incirca le proporzioni del 2006, appunto. Anno dal quale è iniziata un’emorragia che stando ai numeri dovrebbe preoccupare di più chi oggi legittimamente festeggia la vittoria ma farebbe bene a tornare a guardare in faccia la realtà. Rapidamente.
È stata valutata la possibile diminuzione della popolazione e quindi il numero degli aventi diritto al voto? Io non conosco i numeri.
Comunque ringrazio per queste analisi che via via fai ( mi permetto il tu) perché sono sempre chiare e puntuali.
È stato considerato il possibile calo della popolazione e quindi del numero degli aventi diritto al voto?
Ad ogni modo ringrazio per le analisi che via via fai ( mi permetto il tu), sempre precise chiare e puntuali.
Grazie per l’attenzione. C’erano 691 mila aventi diritto al voto nel 2006 e 701 mila nel 2024.